In Italia, la Scuola Siciliana si sviluppò tra il 1230
ed il 1250 presso la corte itinerante di Federico II di Svevia (dinastia degli
Hohenstaufen), imperatore del Sacro Romano Impero (1211), re di Sicilia (1198)
e re di Gerusalemme (1225). Egli stabilì la sua corte in Sicilia, luogo
d’incontro e fusione di molte culture per la sua centralità nel Mediterraneo,
dove creò una scuola di poeti ed intellettuali che ruotavano intorno alla sua
figura, ed erano parte integrante della sua corte.
La lingua in cui i documenti della Scuola Siciliana
sono espressi è il “Siciliano Illustre”, è una lingua nobilitata dal continuo
raffronto con le lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale (lingua
d'oc, diversa dal francese che si chiama invece lingua d'oil).
I poeti Siciliani contribuirono in modo significativo
al patrimonio letterario italiano. Federico II, uomo di grande cultura anche
linguistica, intendeva avvalersi di ogni possibile mezzo per stabilire la sua
supremazia sull'Italia, e in Europa. A questo fine attuò una politica
strumentale, anche nel campo culturale. Con la Scuola Siciliana egli volle
creare una nuova poesia che fosse laica, e si potesse così contrapporre al
predominio culturale che la Chiesa aveva nel periodo, non municipale, da
opporsi alla produzione poetica comunale (l'imperatore era in lotta con i
comuni) e aristocratica, che ruotasse, cioè, intorno alla sua figura.
I poeti di questa corrente letteraria appartenevano
all'alta borghesia, ed erano tutti funzionari di corte, o burocrati, che
lavoravano presso la corte di Federico. Importante rilevare che tutti erano
impegnati in attività e funzioni di organizzazione, di cancelleria, di
amministrazione. La produzione poetica era riservata alla libertà dello spirito
e non costituiva un lavoro o una funzione. In questo senso, la Scuola Siciliana
fu un tentativo di realizzare una cultura universale e spirituale, nel rispetto
delle religioni, ma senza condizionamenti né, tanto meno, subordinazione. Non a
caso uno dei castelli più importanti della casa di Svevia (Castello di
Weibling) ha il nome da cui deriva l'etimologia del termine "ghibellino"[2].
Questo gruppo di poeti scrivevano in volgare
meridionale. Tra i maggiori esponenti della scuola siciliana furono: Giacomo da
Lentini, considerato anche il caposcuola, Odo delle Colonne, Guido delle
Colonne, Pier della Vigna.
Alla scuola poetica siciliana ed al suo caposcuola si
deve l'invenzione di una nuova metrica, denominata il sonetto.
Il sonetto è un
breve componimento poetico, tipico soprattutto della letteratura italiana, il
cui nome deriva dal provenzale sonet (suono, melodia) che si riferiva in
genere a una canzone con l'accompagnamento della musica.
Nella sua forma
tipica, è composto da quattordici versi endecasillabi raggruppati in due
quartine ("fronte") a rima alternata o incrociata e in due terzine
("sirma") a rima varia.
I componimenti dei poeti della Scuola si
datano nel ventennio compreso tra il 1230 ed il 1250, con un chiaro influsso
sulla produzione culturale delle città ghibelline dell'Italia centrale (come
per esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce Stil
Novo, influenzato dalla scuola Siciliana).
Nessun commento:
Posta un commento