Citazione

L'insegnamento non può fermarsi alle ore di lezioni in classe.

Compito del docente è quello di accompagnare gli allievi nella formazione della persona e ciò può essere possibile solo in un tempo dilatato, per un'educazione permanente (C.C.E., 2001).

Il concetto di educazione permanente indica che si apprende in differenti contesti formali, informali, e non formali: non solo a scuola, ma anche nella rete web.

venerdì 19 giugno 2015

LA CALAMITÀ DELL’AMORE: ABELARDO ED ELOISA



Molti filosofi hanno parlato dell’amore. 
Per Platone Eros è un sentimento che ci può condurre alla contemplazione delle idee eterne; per Schopenhauer è uno stratagemma con cui la volontà di vivere (l’energia che sta alla base della realtà) si perpetua attraverso gli esseri viventi. Molti filosofi si sono innamorati e sposati.
Ma nessuno per il suo amore ha pagato una pena tanto pesante quanto quella di Pietro Abelardo.
Abelardo cade vittima della passione
Abelardo (1079-1142) è stato uno dei massimi logici e teologici del Medioevo. Fin da giovanissimo mostrò di avere un intelletto molto acuto. Rinunciò a ereditare il titolo nobiliare paterno e si dedicò allo studio. Com’era d’uso all’epoca, girò per le scuole migliori della Francia settentrionale e riuscì a inimicarsi vari maestri confutandone le teorie. Quando era già famoso come logico, decise di studiare teologia. In un settore di studi molto conservatore, apportò novità sostanziali: un’analisi testuale basata sulla logica, il confronto tra le autorità, l’uso di parallelismi.
Qui trovi una sintesi del pensiero di Abelardo
Ormai giunto all’apice della carriera, famoso per la logica e la teologia che insegnava nella sua scuola a Parigi, era però dominato, dice lo stesso Abelardo, dalla superbia e dalla lussuria.
Proprio in quel periodo sentì parlare una giovane e bella donna di nome Eloisa, che viveva presso lo zio Fulberto, un canonico della cattedrale. Era anche una persona colta, cosa non usuale per una donna della sua epoca.
Abelardo usò il suo ingegno per conquistare la ragazza (probabilmente sedicenne). Fece sapere a Fulberto che avrebbe voluto essere ospitato a casa sua, che era vicina alla scuola, per evitare le noie di una casa da amministrare. Fulberto colse la palla al balzo e si offrì di accoglierlo a casa sua e gli chiese di impartire lezioni private alla nipote, che era la sua pupilla.
Abelardo non se lo fece ripetete due volte e di lì a qualche giorno, a colpi di cultura, seduceva Eloisa e le mani – confessa nella sua autobiografia, La storia delle mie disgrazie (Historia mearum calamitatum) – correvano ai seni più spesso che ha libri.
La lussuria si trasformò in amore. Abelardo era svagato e gli studenti si accorsero che il maestro non era più quello di un tempo. Ben presto tutti capirono che cosa stava succedendo e alla fine lo capì anche Fulberto. Abelardo fece fagotto con il cuore straziato, ma qualche tempo dopo Eloisa gli scrisse di essere rimasta incinta.
Un matrimonio riparatore
Abelardo fece fuggire la ragazza dalla casa dello zio e la portò in Normandia, dai suoi parenti, dove Eloisa mise al mondo un bambino, Astrolabio («colui che abbraccia le stelle»).
Nel frattempo Abelardo preparava un matrimonio riparatore per frenare l’ira di Fuberto. Eloisa però non era d’accordo. Probabilmente il matrimonio l’avrebbe fatta apparire un’approfittatrice, che aveva sedotto un grande filosofo, ma questo contraddiceva i fatti: «te ho desiderato con purezza, non i tuoi beni», argomenta ad anni di distanza. In fondo il matrimonio, tra XI e XII secolo, era un vincolo di alleanza tra famiglie e non c’entrava nulla con i sentimenti.
Eloisa, inoltre, pensava che il matrimonio avrebbe danneggiato Abelardo, umiliandolo e sottraendolo alla filosofia. Ricordava ad Abelardo che i grandi filosofi si erano tenuti lontani dal matrimonio e avevano praticato la continenza. Dato che questi ragionamenti non facevano breccia nella decisione di Abelardo, proponeva un’altra considerazione più pragmatica: «Chi, intento alle meditazioni di argomenti sacri o filosofici potrebbe sopportare i pianti dei bambini?».
Ma fu tutto inutile. Alla fine si sposarono, in segreto. In seguito, però, Abelardo scoprì che Fulberto andava raccontando del matrimonio e maltrattava la ragazza, che invece negava di essersi sposata. A quel punto Abelardo portò Eloisa in un convento, l’Argenteuil, per proteggerla. Fulberto credette di essere stato ingannato e che la ragazza avesse preso i voti. Si trattava di una questione d rispetto e di orgoglio. Assoldò alcuni sicari perché colpissero Abelardo là dove aveva peccato, ossia negli organi sessuali. La spedizione punitiva ebbe successo. Abelardo sopravvisse al danno e al disonore; i sicari furono catturati, castrati e accecati; Fulberto, il mandante, venne blandamente punito dalla giustizia (era verosimilmente membro di una famiglia influente).
Un vecchio maestro e avversario di Abelardo, Roscellino, si tolse un sassolino dalla scarpa e affermò che, poiché un ente, per essere tale, deve possedere tutte le sue parti essenziali, ormai non era più corretto chiamare Pietro Abelardo con il suo nome, perché il poveretto era un uomo incompiuto, simile a un casa senza il tetto.
Abelardo ed Eloisa abbracciano la vita monastica
A quel punto Abelardo ed Eloisa intrapresero entrambi la via monastica. Invece di chiudersi in un umile silenzio Abelardo continuò a insegnare, scrivere e farsi notare per le proprie tesi. A causa di queste fu condannato ben due volte, ai concili di Soissons (1121) e di Sens (1141). In questa seconda occasione si scontrò con Bernardo di Clairvaux, importante esponente dell’ordine dei cistercensi.
Eloisa si dedicò alla gestione di un monastero, il Paracleto, che in origine era un oratorio fondato da Abelardo. Se stiamo alle lettere che scrisse ad Abelardo nel corso degli anni e che sono andate a costituire un celebre epistolario, non gradiva il suo ruolo e il suo destino. I complimenti che riceveva per la sua correttezza come badessa non erano meritati, perché a distanza di anni «la mente conserva ancora la stessa volontà di peccare e arde ancora dei desideri di prima».*
 Qui trovi un ritratto di Eloisa tracciato dal filosofo italiano Lucio Colletti
Abelardo, invece, ci rivela l’epistolario, aveva ormai volto le spalle a quella vicenda, e pur senza dimenticare Eloisa e, anzi, aiutandola a distanza, aveva ripreso le sue battaglie teologiche, fin quando la morte non lo colse, mentre, ospite di un monastero vicino a Chalon-sur-Saone, ancora si dedicava alla filosofia e alla teologia (così scrisse Pietro il Venerabile, abate del monastero di Cluny, a Eloisa, qualche tempo dopo).
Abelardo affrontò le vicissitudini del suo amore più con il piglio dell’uomo di mondo che con quello del filosofo. Ciononostante, o forse proprio per questo, contribui a dare vita a una storia che viene raccontata da secoli.
Qui puoi vedere il monumento funebre dedicato ad Abelardo ed Eloisa al cimitero: scrivi “Abelard” nel motore di ricerca e clicca sulla croce messa in risalto

EROS, THANATOS E LA LOTTA PER LA VITA DELLA SPECIE UMANA

Vampiro: 1893-1894, olio su tela, cm 91x109, Oslo, Munch-museet.



Sigmund Freud (1856-1939) è stato un autore molto prolifico, ma anche costantemente impegnato a precisare e modificare le proprie teorie. Spinto dagli infiniti interrogativi che nascevano dalla pratica clinica, stimolato dalle novità scientifiche, punzecchiato dalle critiche di colleghi e avversari, il padre della psicoanalisi nel corso degli anni muta sensibilmente le proprie posizioni e nello stesso tempo allarga i propri orizzonti: è così che dalle originarie riflessioni sulla sessualità e le nevrosi Freud approda a una spiegazione della dinamica della società, basata sul contrasto tra i due principi della psiche umana, Eros e Thanatos.
Per leggere una brevissima sintesi della vita di Freud e alcuni brani estratti dalle sue opere, clicca qui.

Che cos’è Eros

Con il nome della divinità greca “Eros” Freud indica una tendenza all’aggregazione che agisce a livello biologico e psichico. Nel suo percorso di ricerca Eros è l’erede della libido, un’energia psichica legata alla pulsione sessuale, che egli ha individuato molto presto e che ha costituito l’asse portante della sua riflessione (Freud però non abbandona il termine “libido”, ma lo usa per indicare gli aspetti energetici e comportamentali di Eros).
Per semplificare, possiamo dire che per qualche tempo Freud ha immaginato una contrapposizione tra la pulsione verso il piacere e il principio di realtà dell’Io, ossia tra una tendenza a soddisfare immediatamente i bisogni della libido e una tendenza a procrastinarli e adattarli al mondo reale.

Perché Eros non basta più

A un certo punto, però, Freud giunge alla conclusione che la vita psichica e i comportamenti si dimostrano irriducibili alla sola libido e al principio di realtà. Anzi, il principio di realtà sembra nascere dalla stessa libido. Ciononostante Freud non intende limitare il corredo pulsionale umano alle sole pulsioni libidiche.
A questa esigenza teorica si accompagna l’osservazione. Nei comportamenti dei sadici e dei masochisti non c’è solo il piacere, ma anche una spinta alla distruzione. Nei bambini che ripetono sempre gli stessi gesti c’è qualcosa che sfugge al semplice piacere, perché, oltre un certo grado di ripetizione, al piacere subentra una situazione che impedisce un’evoluzione. Ma cosa giustifica questi comportamenti?
Freud mantiene un’impostazione dualista: ma al contrasto tra il principio del piacere e il principio di realtà sovrappone una nuova contrapposizione, quella tra gli istinti di vita e gli istinti di morte, che oltre a livello psichico sembrano appartenere alla materia vivente, che spingono verso uno stato di quiete e una condizione inorganica.
In perenne movimento tra clinica, speculazione, filosofia e biologia, Freud è entusiasta di scoprire che secondo alcuni biologi la tendenza alla morte è connaturata alla materia organica, perché nella sostanza vivente esiste una parte destinata alla morte e una parte immortale, il “plasma germinale”, al servizio della perpetuazione della specie. In modo non del tutto chiaro, il livello materiale e quello spirituale della vita sembrano corrispondersi. Non poteva mancare il livello sociale.

Come interagiscono Eros e Thanatos

Nel Disagio della Civiltà (1929) Thanatos diventa protagonista (anche se in realtà in quest’opera Freud parla di “principio di morte”). Meno evidente di Eros, ma spesso legato ad esso, capace di dirigersi verso l’esterno nella forma dell’aggressività, Thanatos è il nemico della civiltà.
Il ragionamento di Freud parte dalla considerazione che ogni uomo desidera la felicità, ma i limiti imposti dalla natura e dalla società spesso gli impediscono di raggiungere la meta. Gli uomini primordiali erano senza dubbio più liberi di quelli attuali, ma rischiavano la pelle ogni giorno, mentre nella più comoda civiltà possono accontentarsi di surrogati.
La società, infatti, mette a disposizione attività e comportamenti per indirizzare le pulsioni libidiche nel modo più inoffensivo come l’arte e la scienza.
Nella società l’amore si trova imbrigliato da mille regole che spingono alla monogamia e alla fedeltà e deviano una parte della forza erotica verso forme di amore “inibito nella meta”, come quello per amici e parenti. Ma allora perché la società non è un luogo paradisiaco dove tutti amano gli altri come se stessi?
La risposta è semplice: perché l’uomo è naturalmente aggressivo. Quella pulsione distruttrice che negli anni precedenti era illustrata con comportamenti individuali, ora viene esemplificata da Freud con le grandi stragi della storia (a partire dalla Prima guerra mondiale). Anche a questa pulsione la civiltà deve porre un freno. Ancora una volta l’uomo delle origini stava meglio di noi, poteva sfogare i suoi istinti distruttori e non soffriva di nevrosi, ma rischiava di cadere vittima dell’aggressività altrui.

Il laccio della coscienza

Eros e Thanatos, afferma Freud, sono in lotta continua e l’evoluzione civile è un costante impegno volta a impedire alla seconda di mandare in rovina la società, che nasce dalla tendenza aggregativa della prima.
Lo stratagemma elaborato dalla società consiste nel rispedire al mittente la sua aggressività senza lasciargliela sfogare. L’energia pulsionale aggressiva, rinchiusa tra le pareti della mente, se la prende con l’unico che non può sfuggirle ossia l’individuo a cui appartiene: nasce così il senso di colpa. Freud individua quindi un fenomeno simile a quello si sviluppa nei bambini che, frustrati per non poter sfogare la loro aggressività contro il padre per paura di perderne l’amore, generano dentro di sé il Super Io, un controllore interno. «Ciò che iniziò con il padre, si compie nella massa», sintetizza Freud (Il disagio della civiltà e altri saggi, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 267).

Perché questa tesi è così affascinante?

La teoria contrasto tra Eros e Thanatos ha un potere di seduzione enorme, come spesso accade alle teorie dualiste. Formulato nell’interregno tra le due grandi tragedie del Novecento, la Prima e la Seconda guerra mondiale, sembra dare un senso psicologico alla follia distruttiva di quei decenni. Ma è anche vero che porta con se gli echi di così tante teorie religiose e filosofiche (più o meno per ammissione dello stesso Freud) dall’Amore e la Contesa del greco Empedocle, al dualismo dei catari, allo scontro tra l’ingorda volontà di vivere di Schopenhauer e l’ostinato approdo al nulla del saggio indiano, che Freud sembra più tentato dalla filosofia che dalla psicologia.
Dalle sue molte fonti, però, non traeva né auspici né formule consolatorie: e che questo scontro tra giganti potesse avere terminare con la vittoria di Eros, lo lasciava molto dubbioso.
Qui puoi leggere un’interessante considerazione a proposito della tendenza considerare superabile il male all’interno della società, smentita da larga parte della filosofia e dallo stesso Freud.

 Vampiro: 1893-1894, olio su tela, cm 91x109, Oslo, Munch-museet.

 Il dipinto trasforma un momento di tenerezza in uno di terrore. Non soltanto, infatti, l’abbraccio della coppia è pieno di disperazione – nell’ambiente spoglio, nell’annullamento dei tratti dei volti, ma anche nella contrapposizione tra la donna nuda e l’uomo vestito; diventa una scena di morte. La protagonista diventa un demone che getta una maledizione sulla vita del compagno, uccidendolo a poco a poco. Nella tavolozza, ristretta a poche sfumature di neri e bruni, il rosa del braccio nudo e le ciocche rosse dei capelli acquistano eccezionale evidenza, accentrando l’attenzione sulla figura femminile. In un’immagine essenziale quanto pregnante l’artista ha insomma dato forma al binomio greco di Eros e Thanatos, Amore e Morte, facendo però coincidere quest’ultima con la donna stessa, che diventa l’agente della distruzione.