San Francesco è il più alto esponente
della spiritualità religiosa del XIII secolo.
Nacque ad Assisi nel
1181 o 1182 in una famiglia della borghesia mercantile. Compì buoni studi,
imparando il latino e il francese. Nella sua giovinezza, agiata e brillante, mostrò
propensioni per il mestiere delle armi: nel 1204 cadde prigioniero nella guerra
fra Assisi e Perugia. Cercava di raggiungere le truppe di Gualtieri di Brienne in
Puglia, quando, ammalatosi a Spoleto, dovette tornare ad Assisi. Inizia a
questo punto quel travaglio interiore che lo porta, nel 1206, a mutare
radicalmente le sue abitudini di vita: si ritira in un eremo e si dedica alla
cura dei lebbrosi. L’anno dopo il padre lo accusa di fronte al vescovo, per
indurlo a rinunciare ai suoi propositi; Francesco si spoglia degli abiti che
indossa e glieli restituisce, dichiarando di riconoscere per padre solo «Colui
che è nei cieli». L’episodio ha un valore emblematico, in quanto segna un
rovesciamento e un rifiuto dei valori della società borghese del
tempo, cui Francesco
era appartenuto, sostituiti dalla scelta della povertà, dalla cura degli altri
e dall’amore per il prossimo.
Con i primi discepoli
stabilisce nel 1209 una Regola andata perduta, che verrà approvata l’anno
successivo da papa Innocenzo III. Animato dal desiderio di diffondere il Vangelo
anche fra gli infedeli, nel 1219 raggiunge l’Egitto ed è trattato benevolmente dal
Sultano, che gli consente di recarsi in Terrasanta. Rientrato in Italia elabora
una nuova Regola che, poi riassunta e abbreviata, verrà definitivamente
approvata dal pontefice Onorio III il 29 novembre 1223. Gli ultimi anni,
trascorsi in solitudine e in preghiera presso vari conventi dell’Italia
centrale, sono segnati da dolori fisici e dalle
preoccupazioni per i
contrasti che cominciavano a serpeggiare all’interno dell’ordine.
Tra i fatti ricordati
dai biografi ci sono le “stimmate”, ricevute sul monte Verna e la certificatio
(“certificazione”, “attestazione”), ossia una visione in cui Dio approvava
il suo operato e gli preannunciava la salvezza eterna; il mattino seguente san
Francesco avrebbe composto il Cantico di Frate Sole, o delle creature.
Prima di morire (nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226) si congedò dai suoi
seguaci con un Testamento, che integrava la Regola.
Oltre alla Regola e
al Testamento indicati, restano altri suoi scritti in latino, legati all’insegnamento
e alla pietà religiosa: consigli e ammaestramenti spirituali, sei lettere e
cinque orazioni. Ma è soprattutto il Cantico a imporsi come evento di
assoluta evidenza, per la sua carica di altissima testimonianza spirituale e
per l’intensità del messaggio poetico, straordinario esempio di poesia
religiosa che inaugura, nello stesso tempo, la nostra letteratura in volgare.
Il famoso Cantico delle creature venne composto, secondo
la tradizione nel 1224, quando il santo ricevette una visione divina, che lo
rese certo della salvezza eterna.
Cantico di Frate Sole
Il Cantico
di Frate Sole venne scritto, secondo la tradizione, nel 1224, quando il santo,
dopo una notte trascorsa fra il male che lo affliggeva agli occhi e il tormento
dei topi, avrebbe avuto una visione divina, che lo faceva certo della salvezza
eterna. Secondo la stessa tradizione i versetti sul perdono sarebbero stati
aggiunti quando Francesco rappacificò tra loro il vescovo e il podestà di Assisi,
quelli sulla morte quando sentì approssimarsi la fine (ma queste
interpretazioni, con cui si cercò forse di giustificare certe asimmetrie di
struttura e l’evidente cambiamento di tono, non sono confermate).
› Metro:
prosa ritmica, suddivisa in gruppi di due, tre, cinque versetti,
sull’esempio dei salmi biblici.
Altissimu, onnipotente,
bon Signore,
Tue so’ le laude, la
gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se
konfano,
et nullu homo ène dignu Te
mentovare1.
5 Laudato
sie, mi’ Signore, cum2 tucte le Tue creature,
spetialmente messor3 lo frate4 Sole,
lo qual è iorno, et
allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante
cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta
significatione5.
10 Laudato
si’, mi’ Signore, per6 sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate
clarite7 et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore,
per frate Vento
et per aere et nubilo et
sereno8 et onne tempo,
per lo
quale a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore,
per sor’Aqua,
la quale è multo utile et
humile9 et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore,
per frate Focu,
per lo quale ennallumini10 la nocte:
ed ello è bello et iocundo
et robustoso11 et forte.
20 Laudato
si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et
governa,
et produce diversi fructi
con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano
[per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et
tribulatione.
25 Beati
quelli ke ’l12 sosterrano in pace,
ka13 da Te,
Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore,
per sora nostra Morte
[corporale,
da la quale nullu homo
vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano
ne le peccata mortali;
30 beati
quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda14 no ’l
farrà male.
Laudate e benedicete mi’
Signore et rengratiate
e
serviateli15 cum grande humilitate.
versi 1-4. Altissimo, onnipotente, eccellente (bon) Signore, a Te appartengono la lode, la gloria, l’onore e
ogni benedizione. A Te solo, Altissimo, convengono (konfano), e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome (mentovare).
1. et nullu ...
mentovare: il concetto risale al Decalogo di Mosè («Non nominare il nome di
Dio invano»), integrato con altre celebri espressioni bibliche («non sono
degno di essere chiamato figlio tuo», oppure «non sono degno che tu entri
nella mia casa»). L’autorevolezza di questi riferimenti giustifica i
latinismi: nullus homo, dignus; mentovare deriva invece dal francese
antico mentevoir.
versi 5-9. Lodato sii, mio Signore, così come (cum) tutte le Tue creature, specialmente messer fratello (frate) Sole, che rappresenta la luce del giorno, e ci illumini
attraverso di (per) lui. Ed esso è bello e
raggiante e con grande splendore: di Te, Altissimo, porta testimonianza (significatione).
2. cum: secondo l’interpretazione
di Mario Casella sta per così come, non assieme a.
3. messor: è forma umbra di messere ed è distinto da Signore, che indica invece la
divinità.
4. frate: termine attribuito a tutte
le creature (come sora, sorella), per indicare appunto
la comune origine del creato ed il sentimento che deve unire tutti gli esseri
viventi.
5. significatione: intendi, il Sole è l’emanazione
della luce divina sulla Terra.
versi 10-14. Lodato sii, mio Signore, per sorella Luna e le stelle: le hai
create (formate) nel cielo luminose (clarite) e preziose e belle. Lodato sii, mio Signore, per fratello
Vento e per il cielo (aere) nuvoloso e sereno, e
per ogni tempo (atmosferico).
6. per: è il principale nodo da
sciogliere per l’interpretazione del componimento.
Secondo l’ipotesi
tradizionale per è inteso come causale (per aver creato...), cioè la lode viene rivolta direttamente a Dio come
artefice del mondo. Meno convincente ci sembra la sua interpretazione come
complemento d’agente (da, francese par), a indicare la lode resa dalle creature al loro creatore. Ma per potrebbe anche significare attraverso (conformemente all’uso del per
che
precede), sottolineando il rapporto di mediazione che si stabilisce, nell’universo,
fra Dio e l’uomo; ed è, questa, l’ipotesi più suggestiva, per il carattere di
comunione e di partecipazione che permea, nel componimento, la vita del
tutto.
7. clarite: latino clarus, francese clair.
8. nubilo et sereno:
probabilmente
sostantivi, anche se hanno funzione di attributo rispetto ad aere.
versi 15-19. Lodato sii, mio Signore, per sorella Acqua, la quale è molto umile
e utile e preziosa e pura (casta). Lodato sii, mio
Signore, per fratello Fuoco, attraverso il quale illumini (ennallumini) la notte: ed esso è bello e giocondo e robusto
(iocundo et robustoso) e forte.
9. utile et humile: bisticcio di parole.
10. ennallumini: riprende, rafforzandolo col
prefisso, l’allumini del verso 7 (francese antico
enluminer).
11. robustoso: il suffisso -oso è aggiunto in funzione espressiva.
versi 20-24. Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre Terra, la
quale ci nutre e alleva (sustenta et
governa),
e produce
molti frutti con fiori
colorati ed erba. Lodato sii, mio Signore, per quelli che perdonano attraverso
il Tuo amore e sopportano malattie e dolori (infirmitate et tribulatione).
versi 25-32. Beati quelli che sopporte15ranno ciò (’l) in pace, perché (ka) saranno (sirano) da Te incoronati.
Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella Morte corporale, dalla quale
nessun vivente (nullu homo) può scappare: guai a
quelli (a·cquelli) che moriranno
(trovandosi) nei peccati mortali; beati quelli che (la Morte, quando
sopraggiungerà) troverà nelle Tue santissime volontà (voluntati), perché la dannazione (morte
secunda) non
farà loro (’l) male. Lodate e
benedicete il mio Signore e ringraziatelo e servitelo con grande umiltà.
12. ’l: lo, nel senso di ciò, riferito a infirmitate et tribulatione del verso 24.
13. ka: riprende, con evidente
parallelismo, la struttura delle Beatitudini evangeliche.
14. la morte secunda:
cioè
irrevocabile e definitiva (è espressione usata nell’Apocalisse e ripresa poi da Dante).
15. serviateli: si tratta propriamente di un
congiuntivo esortativo, col valore degli imperativi che precedono; -li è dativo, a lui, come il caso retto dal
latino servire. I destinatari degli
ultimi due versi sono i fedeli, per i quali il Cantico
è stato espressamente
concepito.
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Analisi
del testo
La
religiosità del Cantico. Il Cantico è l’unico testo
scritto in volgare umbro da Francesco, che utilizzò per tutti gli altri suoi
scritti il latino. La scelta della lingua volgare assume allora un particolare
significato, in quanto rivela la volontà da parte di Francesco di rivolgere ai
propri confratelli una sorta di ammonizione sul tipo di predicazione da
destinare al popolo dei fedeli, popolani e illetterati, che dovevano essere messi
in grado di capire senza fraintendimenti il contenuto del messaggio religioso.
La lode a
Dio viene allora espressa in volgare, in forma «di prosa rimata, abbastanza vicina
alle sequenze liturgiche» latine e
divisa, come ha osservato Contini, «in versetti assonanzati tra loro».
Nella
prima parte (vv. 1-22) il Cantico è una lode a Dio per tutti gli
elementi del mondo creato: il sole, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il
fuoco, la terra; nella seconda parte (vv. 23-33) è una preghiera penitenziale
di fronte alla morte, dopo la quale per coloro che saranno nelle «sanctissime
voluntati» di Dio, ci sarà la beatitudine.
Nel testo sono evidenti
gli elementi tipici della religiosità francescana: il senso di comunanza dell’uomo
con tutti gli elementi della natura, l’amore e l’umiltà del fedele nei confronti
di Dio creatore.
Le
interpretazioni critiche. Nel corso del tempo molte sono state le
interpretazioni dei critici sul componimento, diverse ed anche in contrasto tra
loro. Per Casella (1949-50) la religiosità di san Francesco non respinge il
mondo terreno in quanto totalmente negativo, come è proprio di altre tendenze
religiose del Medio Evo, che insistono sul contemptus mundi (disprezzo
del mondo) e sulla vita mondana come cumulo di miserie ed orrori. Però non si
può neanche vedere nelle lodi del santo alle
creature
una posizione già naturalistica, cioè un’esaltazione della natura presa solo in
sé e per sé, nel suo valore autonomo, svincolato dal trascendente: questa
visione si affermerà solo più tardi, con l’Umanesimo e il Rinascimento, e presupporrà
un’interpretazione laica e immanente del mondo. Nell’inno di san Francesco,
secondo una visione ancora tipicamente medievale, le cose sono essenzialmente
viste come simbolo della realtà trascendente di Dio.
Spitzer
(1955) ha integrato l’analisi di Casella rilevando che le cose non sono solo
lodate in sé e in relazione a Dio, ma anche in relazione all’uomo, in quanto
sono a lui utili.
Nell’inno
vi è quindi una visione antropocentrica, che ha come centro l’uomo: ma,
osserva ancora Spitzer, l’uomo non è lodato tra altre creature di Dio come
bello in sé e in quanto porta significazione del Creatore. Mentre per le
creature le lodi sono incondizionate, l’uomo è lodato solo a certe ben
determinate condizioni: sono lodati solo «quelli ke perdonano». Infatti tra
tutte le creature l’uomo è l’unica per cui si apre l’alternativa tra salvezza e
dannazione, l’unica che sia contaminata dal peccato originale (è questo un
concetto che torna anche in altri scritti del santo).
Per Getto
(1956-2002) l’immagine complessiva che lascia il Cantico è quella di un mondo
armonioso e pacificato, in cui «accanto alle cose obbedienti a Dio stanno gli
uomini, con la loro volontà non più ribelle come in regime di peccato, ma, come
in regime di grazia, uniformata a Dio».
ATTIVITÀ SUL TESTO
Comprensione
1. Riassumi in non più
di quattro righe il contenuto complessivo del componimento.
2. Perché gli elementi
del mondo creato sono accompagnati dalle apposizioni «frate» e «sora»?
Analisi
3. Individua nel testo
tutte le rime e le assonanze, all’interno e alla fine dei versi, che
conferiscono musicalità alla lettura.
4. Individua le creature
menzionate dall’autore e analizza le caratteristiche per cui vengono esaltate.
5. Quale figura retorica
della ripetizione caratterizza gran parte del componimento?
INTERPRETAZIONE COMPLE
SSIVA E APPROFONDIMENTI
6. Quale visione del
rapporto tra Dio e il mondo, tra l’uomo e gli elementi naturali è presente nel
testo?
Laboratorio di
lessico e lingua
7. Individua ai versi
1-22 gli aggettivi usati per descrivere gli elementi naturali: si tratta di
termini semplici o ricercati?
8.Ricerca nei versi
tutte le forme verbali e analizzale: quali modi e quali tempi sono più usati?
Sono presenti forme passive? Quali verbi non sono attualmente di uso comune?
9. Analizza il
componimento dal punto di vista sintattico: prevale la coordinazione o la subordinazione?
Ci sono frasi senza il verbo? Le subordinate presenti sono di due sole
tipologie: quali?
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