Il ritardo della prosa volgare nel Duecento
La prosa volgare si afferma in Italia solo alla fine del XIII sec. e dunque con netto ritardo rispetto
 alla poesia, il cui "canone" appare già fissato a metà del secolo con 
l'opera dei Siciliani e dei siculo-toscani: le ragioni vanno ricondotte 
anzitutto all'egemonia del latino e della lingua d'oïl nelle opere di 
argomento storico e dottrinale, diffuse soprattutto nelle regioni del 
Nord Italia (val la pena ricordare la Cronica in latino di fra Salimbene Adami da Parma, mentre Brunetto Latini scrive i Livres dou trésor in
 francese), mentre l'uso del volgare nella prosa si diffonde a partire 
dalla Toscana nel fiorire dell'età comunale, sia per l'affermarsi della 
poesia che costituiva un importante precedente culturale, sia per 
l'emergere della società mercantile e della contesa politica che faceva 
della retorica e dell'uso del linguaggio uno degli strumenti di lotta, 
mentre il volgare era ormai largamente utilizzato nei documenti legali e
 notarili. Importanza decisiva ebbero inoltre i volgarizzamenti,
 ovvero le traduzioni in lingua volgare di varie opere latine e 
soprattutto francesi (tra queste i romanzi cortesi, che conobbero una 
grande diffusione in prosa nel tardo Duecento e furono conosciuti e 
apprezzati anche da Dante), nonché le artes dictandi,
 ovvero i trattati in latino in cui si insegnava agli scolari l'arte di 
scrivere in perfetto stile delle epistole di tipo oratorio (anche con 
attenzione al cursus, cioè al ritmo e agli artifici di suono). L'ars dictandi
 fu presto applicata anche alla redazione di documenti e discorsi in 
lingua volgare e come tale aiutò non poco a formalizzare un linguaggio 
per sua natura mutevole e privo di una grammatica rigida, per cui quando
 i grandi scrittori di inizio XIV sec. si dedicarono a scrivere opere in
 prosa raccolsero i frutti di un lungo lavoro iniziato nel secolo 
precedente, che sfociò soprattutto nei generi della storiografia, della 
narrativa, delle cronache di viaggio. La nascita delle prosa volgare non
 soppiantò affatto la prosa latina, che anzi proseguì fiorente e 
produsse alcune opere importantissime per tutto il XIV sec. (soprattutto
 con i trattati e le epistole di Dante, poi con l'opera di Petrarca e in parte di Boccaccio)
 e ancora in pieno Umanesimo, quando addirittura fu il latino ad 
oscurare in parte il volgare nell'ambito della letteratura umanistica.
L'affermarsi della storiografia: Dino Compagni
 Bonifacio VIII e Carlo di Valois, min. XIV sec.
Bonifacio VIII e Carlo di Valois, min. XIV sec.
Nella letteratura mediolatina la storiografia era
 un genere molto diverso dall'antichità e considerava le vicende umane 
come espressione della volontà divina, non come concatenazione di eventi
 umani per cause economiche e sociali, dunque le cronache partivano 
quasi sempre dalla creazione del mondo o dall'episodio biblico della 
Torre di Babele, senza una precisa distinzione tra fatti realmente 
accaduti e leggendari. Le prime opere storiche in volgare risentono di 
questa impostazione, anche se nel mondo comunale toscano si avverte 
l'esigenza di spiegare e raccontare i fatti politici più recenti, con 
minore attenzione al risvolto religioso della narrazione, specie a 
Firenze che nella seconda metà del Duecento era diventata la città più 
ricca e politicamente influente dell'Italia centrale. Qui è attivo 
soprattutto Dino Compagni (1260 ca. - 1324), 
originario di una famiglia del "popolo grasso" (la ricca borghesia mercantile) e guelfo bianco attivo nelle vicende politiche del Comune, finché fu costretto a ritirarsi dalla vita pubblica dopo l'azione di Carlo di Valois che nel 1301 favorì la presa di potere dei Neri (episodio in seguito al quale Dante venne esiliato). Scrisse allora una Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in cui rinunciò all'impianto universalistico e annalistico per trattare gli avvenimenti del periodo 1280-1312, concentrandosi in particolare sugli anni 1300-1308 che videro a Firenze il conflitto tra Bianchi e Neri e interrompendo la trattazione quando Arrigo VII di Lussemburgo, sceso in Italia per ristabilirvi l'autorità imperiale, morì improvvisamente nel 1313. L'opera è piena della passione di parte dell'ex-uomo politico e contiene veementi apostrofi dirette ai concittadini fiorentini , nonché prese di posizione e condanne nette verso i capi-fazione più violenti della parte avversa, tra cui spicca soprattutto quel Corso Donati preso di mira anche da Dante in più di un passo della Commedia. Gli fu a lungo attribuito, ma pare senza fondamento, anche il poemetto intitolato L'intelligenza e fu autore anche di rime.
originario di una famiglia del "popolo grasso" (la ricca borghesia mercantile) e guelfo bianco attivo nelle vicende politiche del Comune, finché fu costretto a ritirarsi dalla vita pubblica dopo l'azione di Carlo di Valois che nel 1301 favorì la presa di potere dei Neri (episodio in seguito al quale Dante venne esiliato). Scrisse allora una Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, in cui rinunciò all'impianto universalistico e annalistico per trattare gli avvenimenti del periodo 1280-1312, concentrandosi in particolare sugli anni 1300-1308 che videro a Firenze il conflitto tra Bianchi e Neri e interrompendo la trattazione quando Arrigo VII di Lussemburgo, sceso in Italia per ristabilirvi l'autorità imperiale, morì improvvisamente nel 1313. L'opera è piena della passione di parte dell'ex-uomo politico e contiene veementi apostrofi dirette ai concittadini fiorentini , nonché prese di posizione e condanne nette verso i capi-fazione più violenti della parte avversa, tra cui spicca soprattutto quel Corso Donati preso di mira anche da Dante in più di un passo della Commedia. Gli fu a lungo attribuito, ma pare senza fondamento, anche il poemetto intitolato L'intelligenza e fu autore anche di rime.
La Nuova Cronica di Giovanni Villani
 Totila fa distruggere Firenze, min. XIV sec.
Totila fa distruggere Firenze, min. XIV sec.
Più complessa e interessante la figura del fiorentino Giovanni Villani
 (1280 ca. - 1348), socio della Compagnia dei Peruzzi e dei Bardi nel 
cui fallimento fu coinvolto; guelfo di parte nera, ebbe vari incarichi 
politici e si recò nel 1300 a Roma per il Giubileo indetto da papa 
Bonifacio VIII, restando colpito dalla magnificenza della città e 
decidendo in seguito di scrivere un'opera che raccontasse la storia di 
Firenze, che secondo la leggenda era nata come colonia romana e la cui 
origine era rivendicata con orgoglio. Compose allora la Nuova cronica
 a partire dal 1308 circa sino alla morte (avvenuta durante l'epidemia 
di peste del 1348), che segue uno schema medievale e racconta la storia 
della città a partire dalla Torre di Babele, per poi scendere via via 
più nei dettagli man mano che la narrazione si avvicina agli anni in cui
 visse l'autore. L'opera è interessante in quanto offre un quadro della vita politica e sociale della Firenze di fine XIII-inizio XIV sec. assai ricco di particolari anche statistici e demografici, per cui la Nuova cronica si
 può considerare la prima grande opera storiografica della letteratura 
volgare, nonostante risenta ancora di schemi culturali del passato (tale
 impostazione sarà abbandonata definitivamente solo in età umanistica). 
L'opera, che si interrompe all'anno 1346, venne proseguita dal fratello 
di Giovanni, Matteo, e poi dal nipote Filippo, che giunsero sino al 
1364.
Le cronache di viaggio: il Milione di Marco Polo
 Miniatura del "Milione" (XIV sec.)
Miniatura del "Milione" (XIV sec.)
Nel
 tardo Duecento tutto ciò che riguardava l'Oriente e i popoli che vi 
abitavano, nonché le tradizioni e i costumi di quelle terre remote e 
leggendarie, era avvolto nel mistero e fonte di curiosità da parte dei 
lettori, per cui si può comprendere il grande interesse che agli inizi 
del Trecento suscitò la cronaca che il mercante veneziano Marco Polo (1254-1324) produsse dei suoi viaggi in Asia, alla corte del Gran Khan dei Mongoli: l'opera, nota col titolo popolare di Milione
 (da una storpiatura di Emilione, il soprannome dei Polo) fu dettata 
dall'autore a Rustichello da Pisa quando i due erano in carcere a 
Genova, entrambi prigionieri della Repubblica Marinara in seguito a una 
battaglia navale, e inizialmente scritta in lingua d'oïl col titolo Le divisament dou monde, "La descrizione del mondo", o anche Livre des merveilles,
 "Libro delle meraviglie". In seguito la cronaca subì vari 
volgarizzamenti, in toscano e in veneziano (la lingua materna 
dell'autore) e conobbe una vasta diffusione soprattutto nell'Italia del 
Nord, benché non abbia contribuito a gettare le basi di un vero e 
proprio genere. Il Milione si distende per oltre 200 capitoli e
 racconta in modo minuzioso il viaggio di andata e ritorno di Marco 
Polo, accompagnato dal padre e dallo zio, da Venezia a Pechino tra il 
1271 e il 1295, che si configura anzitutto come una missione commerciale
 compiuta anche per conto di Venezia, potenza economica e marittima in 
stretto contatto coi regni del lontano Oriente. L'opera è dunque una 
cronaca di viaggio, ma contiene anche descrizioni di popoli, usanze, 
regioni che ne fanno un trattato etno-geografico in 
anticipo sui tempi, non trascurando particolari leggendari ed esotici 
che soddisfacevano il gusto e la curiosità del pubblico borghese e 
mercantile del tempo (ciò avviene, per esempio, nella descrizione del 
Giappone non visitato direttamente dall'autore). Spesso emerge la 
mentalità mercantile di Marco Polo, che guarda ogni cosa con la 
mentalità dell'uomo d'affari che cerca ovunque opportunità economiche, 
per cui l'opera si può considerare in parte anche una sorta di manuale 
di mercatura e si rivolge, infatti, a un pubblico borghese che 
appartiene a quel mondo. Il successo della cronaca nel tempo è stato 
enorme e l'opera è stata tradotta in varie lingue, mentre è da ricordare
 che Italo Calvino ne ha tratto spunto per costruire la cornice del 
romanzo Le città invisibili (1972), opera "aperta" in cui 
l'immaginario dialogo tra Marco Polo e il Khan offre il pretesto per 
divagazioni sul mondo contemporaneo e i suoi drammatici problemi. Ai 
viaggi di Marco Polo la RAI dedicò un imponente sceneggiato nel 1982, 
per la regia di G. Montaldo, che fu a lungo la produzione più costosa 
dell'azienda pubblica e riscosse numerosi consensi.
La prosa narrativa: il Novellino e il Libro dei sette savi
 Tristano e Isotta, min. XV sec.
Tristano e Isotta, min. XV sec.
La prosa narrativa
 e la novellistica si affermano alla fine del Duecento, come punto di 
arrivo di una lunga tradizione precedente che si rifà tanto alla 
letteratura latina che a quella francese: i modelli sono diversi e vanno
 dai racconti agiografici e dagli exempla morali (brevi racconti latini in cui l'aneddoto fornisce una norma di comportamento), ai lai e ai fabliaux della lingua d'oïl, senza dimenticare le vidas e le razos
 della letteratura occitanica (rispettivamente le biografie dei 
trovatori, spesso ricche di elementi leggendari, e le spiegazioni in 
prosa delle loro liriche). Un notevole influsso sulla novellistica 
esercitarono anche le opere di derivazione orientale lei cui traduzioni 
latine circolavano ampiamente in Europa nel XIII sec., tra cui le Mille e una notte la cui traduzione in forma definitiva giunse più tardi, nel XVI sec. Gran parte di questa tradizione confluisce poi nel Novellino, una raccolta anonima di cento racconti scritti certamente a Firenze verso
 la fine del XIII sec. e attribuiti ad almeno due autori diversi, uno 
più rozzo e borghese e un altro più nobile e raffinato (ma si pensa 
anche all'evoluzione di un solo scrittore): l'opera non contiene alcuna 
cornice narrativa e le novelle vedono protagonisti di tutti i ceti 
sociali, popolani, ricchi borghesi e mercanti, uomini e donne nobili che
 vivono nelle corti. I racconti si ispirano in parte al modello degli exempla,
 specie per la loro relativa brevità, tuttavia l'intento dell'opera non è
 edificante ma di intrattenimento di un pubblico borghese, e se vi è un 
intento educativo non è di tipo religioso ma piuttosto retorico, quello 
cioè di insegnare i "fiori di parlare" e i "belli risposi" (le risposte 
argute, ingegnose). In effetti i racconti riflettono spesso una 
mentalità mercantile e borghese che a tratti rivendica i propri diritti a
 scapito di un'aristocrazia feudale attaccata ai propri privilegi di 
casta, come nella novella del medico di Tolosa, non di rado con quel 
gusto della battuta salace e della beffa tipicamente toscano e che si 
ritroverà ampiamente nel Decameron di G. Boccaccio; non mancano
 tuttavia novelle di raffinata ambientazione cortese ed altre di 
argomento leggendario e letterario, tra cui spicca quella famosa di 
Tristano e Isotta ispirata al ciclo bretone dei romanzi cortesi in 
lingua d'oïl. 
Di carattere diverso è invece il Libro dei sette savi di Roma, anch'esso anonimo e frutto della traduzione in toscano di un testo francese che a sua volta riprende un racconto di origine orientale (forse indiano): un giovane principe, reo di aver rifiutato la seduzione della matrigna, è accusato da questa di violenza e condannato a morte, mentre sette savi gli impongono il silenzio per una settimana e, per differire l'esecuzione, raccontano a turno al re una novella al giorno sulla malvagità delle donne, alternandosi con la matrigna che racconta anche lei una novella al giorno di segno opposto per indurre lo sposo a eseguire la sentenza. Trascorsi otto giorni, il giovane può spiegarsi e la sua innocenza viene creduta, mentre a essere condannata è la donna. L'opera è interessante soprattutto per la struttura a cornice che giustifica le novelle, chiaramente ispirata allo schema delle Mille e una notte e a sua volta fonte di ispirazione per il Decameron.
Di carattere diverso è invece il Libro dei sette savi di Roma, anch'esso anonimo e frutto della traduzione in toscano di un testo francese che a sua volta riprende un racconto di origine orientale (forse indiano): un giovane principe, reo di aver rifiutato la seduzione della matrigna, è accusato da questa di violenza e condannato a morte, mentre sette savi gli impongono il silenzio per una settimana e, per differire l'esecuzione, raccontano a turno al re una novella al giorno sulla malvagità delle donne, alternandosi con la matrigna che racconta anche lei una novella al giorno di segno opposto per indurre lo sposo a eseguire la sentenza. Trascorsi otto giorni, il giovane può spiegarsi e la sua innocenza viene creduta, mentre a essere condannata è la donna. L'opera è interessante soprattutto per la struttura a cornice che giustifica le novelle, chiaramente ispirata allo schema delle Mille e una notte e a sua volta fonte di ispirazione per il Decameron.
La narrativa dopo il Decameron: Franco Sacchetti
 Trecentonovelle, min. XIV sec.
Trecentonovelle, min. XIV sec.
Il Decameron fu
 senza alcun dubbio l'opera in prosa più importante del XIV sec. e 
contribuì a fondare un genere (quello della novellistica in volgare) che
 in precedenza aveva pochi modelli cui ispirarsi, diventando 
inevitabilmente a sua volta un modello irrinunciabile per tutti coloro 
che vollero cimentarsi nello stesso tipo di opera: del resto il 
capolavoro di Boccaccio raccoglieva gli spunti offerti dalla tradizione 
narrativa sino a quel momento, inclusa la struttura a cornice che gli 
derivava dal Libro dei sette savi e dalla novellistica 
orientale, non trascurando neppure la celebrazione della parola e la 
varietà di ambientazioni (popolari, borghesi, aristocratiche) che gli 
derivava dal Novellino . Dopo Boccaccio la narrativa del Trecento vide un solo autore significativo, quel Franco Sacchetti (1332
 ca. - 1400) che nacque forse in Dalmazia e visse a lungo a Firenze, 
scrisse opere di vario genere (poemetti, rime...) e verso la fine del 
secolo iniziò il Trecentonovelle, una raccolta di racconti 
privi di cornice narrativa che rimase incompiuta e annovera poco più di 
duecentoventi racconti, inclusi i frammenti. Le novelle sono di relativa
 brevità e i personaggi sono per lo più di origine popolare o 
piccolo-borghese, come del resto l'autore stesso, che quindi non domina 
la materia dall'alto di una cultura superiore ma guarda la scena 
dall'interno, con l'occhio di un "uomo discolo e grosso" (la definizione
 è dello stesso Sacchetti). Il mondo del Trecentonovelle è 
fatto di burle, scherzi, equivoci, con una certa scioltezza di 
linguaggio e una morale finale che in genere è un po' facile, incline a 
lamentare la corruzione del mondo; Sacchetti è in fondo l'esponente di 
un secolo (il Trecento) che sta declinando e prepara la rivoluzione 
umanistica del periodo successivo, alla quale lo scrittore è 
sostanzialmente estraneo per la sua estrazione mercantile e borghese. 
Tra le novelle più note vi sono quelle dedicate a personaggi noti della 
letteratura e dell'arte, tra cui Dante, Guido Cavalcanti, Giotto, e 
quelle del "ciclo" di Dolcibene, una specie di giullare e buffone dotato
 di grande verve inventiva e di un talento particolare per ordire beffe, oltre che per trarsi d'impaccio.
La prosa latina nel Trecento
 Ritratto di F. Petrarca (XV sec.)
Ritratto di F. Petrarca (XV sec.)
Accanto alla produzione in prosa volgare per tutto il XIV sec. è attivo un filone di prosa latina
 che da un lato prosegue la tradizione della letteratura mediolatina di 
argomento religioso, specie all'inizio del Trecento (l'autore più 
significativo in questa fase è sicuramente Dante Alighieri,  mentre in un secondo momento essa dà luogo ad opere più innovative che 
anticipano i caratteri dell'Umanesimo del XV sec., specie con gli 
scritti di Francesco Petrarca  che
 si può già considerare uno scrittore pre-umanista, il che vale in parte
 anche per l'ultimo Boccaccio. Tra i generi preferiti da questo filone 
letterario in latino rientra anzitutto l'epistola,
 concepita come testo "pubblico" da indirizzare idealmente a una platea 
vasta di lettori e spesso concernente temi rilevanti sotto il profilo 
culturale e politico, aspetto che si ritrova nelle epistole latine di 
Dante (aventi come destinatari i cardinali italiani, l'imperatore Arrigo
 VII...) e nell'epistolario petrarchesco, opera strutturata dall'autore 
come una vera raccolta e modellata sull'esempio delle lettere di 
Cicerone da lui stesso riscoperte. Altro genere decisamente sfruttato è 
poi il trattato dedicato a temi specifici, che possono essere politico-linguistici (ad es. il De vulgari eloquentia e la Monarchia di Dante) oppure di argomento ascetico e religioso, come il De vita solitaria o il De otio religioso
 di Petrarca, in cui l'autore abbandona il vecchio schema delle opere 
medievali ancora presente nei trattati danteschi e anticipa quello 
moderno e ispirato alla lett. classica dell'Umanesimo, poi ripreso e 
ampliato da scrittori del tardo Trecento-primo Quattrocento come Coluccio Salutati, Leonardo Bruni e Leon Battista Alberti . Moderna e innovativa è anche la forma di un altro importante trattato di Petrarca, quel Secretum
 che inscena un dialogo fittizio tra l'autore e S. Agostino e la cui 
struttura si rifà dichiaratamente a quella di tanti dialoghi di Cicerone
 come il Laelius de amicitia, anticipando le scelte di altri 
scrittori latini e volgari della letteratura quattro-cinquecentesca (il 
trattato rinascimentale avrà quasi sempre forma dialogica). 
Altrettanto importante è la produzione di carattere erudito di commento ad opere del passato o a vari aspetti della storia e della mitologia classica, che vede soprattutto in Petrarca un iniziatore nel Trecento (importanti le sue compilazioni sui personaggi della storia antica, come il De viris illustribus ispirato all'opera omonima di Cornelio Nepote) e la cui opera segna una grande distanza rispetto all'opera di Dante, che continuava la lettura in chiave cristianizzante degli scritti classici, mentre lo stesso Boccaccio subirà l'influenza del poeta aretino suo amico e produrrà opere erudite quali la Genealogia deorum gentilium, trattato mitografico sulle divinità classiche di gusto pre-umanistico e lontano dalle interpretazioni religiose dell'età precedente . Petrarca è poi il fondatore in un certo senso della filologia intesa come la ricostruzione su base scientifica del testo e del contenuto delle opere latine classiche, aspetto che verrà ulteriormente approfondito in età umanistica e troverà soprattutto in Angelo Poliziano l'esponente di spicco nel Quattrocento, anche se il poeta toscano unirà alla profonda conoscenza del latino quella del greco ancora estranea a Petrarca come a Boccaccio (e il greco, infatti, verrà riscoperto nel XV sec. soprattutto in seguito alla caduta di Costantinopoli nel 1453 e all'arrivo in Italia di intellettuali di lingua greca esuli dalla loro patria.
Altrettanto importante è la produzione di carattere erudito di commento ad opere del passato o a vari aspetti della storia e della mitologia classica, che vede soprattutto in Petrarca un iniziatore nel Trecento (importanti le sue compilazioni sui personaggi della storia antica, come il De viris illustribus ispirato all'opera omonima di Cornelio Nepote) e la cui opera segna una grande distanza rispetto all'opera di Dante, che continuava la lettura in chiave cristianizzante degli scritti classici, mentre lo stesso Boccaccio subirà l'influenza del poeta aretino suo amico e produrrà opere erudite quali la Genealogia deorum gentilium, trattato mitografico sulle divinità classiche di gusto pre-umanistico e lontano dalle interpretazioni religiose dell'età precedente . Petrarca è poi il fondatore in un certo senso della filologia intesa come la ricostruzione su base scientifica del testo e del contenuto delle opere latine classiche, aspetto che verrà ulteriormente approfondito in età umanistica e troverà soprattutto in Angelo Poliziano l'esponente di spicco nel Quattrocento, anche se il poeta toscano unirà alla profonda conoscenza del latino quella del greco ancora estranea a Petrarca come a Boccaccio (e il greco, infatti, verrà riscoperto nel XV sec. soprattutto in seguito alla caduta di Costantinopoli nel 1453 e all'arrivo in Italia di intellettuali di lingua greca esuli dalla loro patria.
Il declino della prosa volgare nel primo Quattrocento
La prima metà del XV sec. vede l'affermarsi soprattutto dell'Umanesimo latino 
 e la letteratura volgare viene inevitabilmente messa in ombra, fatto 
che vale tanto più per la prosa che dopo Sacchetti non vide più alcun 
autore significativo e dovette attendere lo sviluppo della trattatistica
 del Cinquecento per conoscere una rinascita: ciò non significa che il 
primo Quattrocento sia povero di scritti in prosa (ce ne furono anzi 
moltissimi, specie memorie e novelle), ma questa abbondante produzione 
manca di profondità culturale e riflette spesso un'ingenua imitazione 
del modello boccaccesco, per cui è difficile individuare autori e opere 
degni di nota. Tra essi merita una citazione Cennino Cennini (morto agli inizi del secolo), autore di un Libro dell'arte che vuol essere un trattato tecnico di pittura e da cui traspare la grande ammirazione per Giotto, e un Giovanni da Prato (1367-1446) cui è attribuito un romanzo intitolato Paradiso degli Alberti,
 in cui un'allegra brigata soggiorna in una villa degli Alberti nel 
Casentino, detta appunto "Paradiso", dove discute di vari temi e 
racconta novelle chiaramente ispirate al Decameron. Novelliere fu anche il lucchese Giovanni Sercambi (1348-1424),
 autore di una raccolta di 155 racconti inseriti in una cornice e che 
riflette la mentalità mercantile dello scrittore, mentre un certo Antonio Manetti (1423-1497) avrebbe scritto una delle redazioni della Novella del grasso legnaiuolo,
 che ebbe una notevole diffusione e racconta un'atroce burla fatta da 
alcuni buontemponi tra cui Filippo Brunelleschi ai danni di un falegname
 detto "Il Grasso". Molto famoso anche un volumetto di motti intitolato Facezie del piovano Arlotto, attribuito a un Arlotto Mainardi (1396-1484) che fu parroco di Cresci e che è ricordato tra l'altro da Lorenzo de' Medici nei Beoni e da Pulci nel Morgante, nonché in uno scritto di Poliziano. Da ricordare, infine, Vespasiano da Bisticci (1422-1498),
 attivo a Firenze come trascrittore di testi e in seguito proprietario 
di un laboratorio di amanuensi in grado di produrre libri manoscritti 
per la biblioteca di Cosimo de' Medici, segno del bisogno crescente di 
un'industria del libro prima della diffusione della stampa: scrisse le Vite di uomini illustri del secolo XV,
 raccolta di biografie di papi, re, vescovi, principi che anticipa opere
 di genere consimile che si svilupperanno nel secolo seguente ed esprime
 bene la cultura umanistica che sarebbe presto tornata al volgare per 
produrre opere di pregio, specie nel versante della poesia.
 
 
Nessun commento:
Posta un commento