Petrarca e Laura De Noves, Scuola veneziana, c. 1510 (The Ashmolean Museum of Art and Archaelogy) |
Desiderio della bellezza femminile del corpo ed il senso di colpa
L'amore
di Petrarca per Laura evidenzia un comportamento caratterizzato da alti e
bassi, in cui gli alti sono dovuti al comportamento da dama di corte, della
bella, che frena questi acuti mostrandosi ritrosa quando gli eccessi del poeta
rischiano di influire negativamente sulla sua vita familiare.
Il conflitto tra anima e corpo
il contrasto tra
anima e corpo si complica in un vero e più moderno conflitto interiore tra il
desiderio della bellezza del corpo femminile e il senso di colpa.
Lo splendore di Laura turba i sensi del poeta e nello stesso tempo il sentimento del peccato e della fragilità è motivo di tormento.
Lo splendore di Laura turba i sensi del poeta e nello stesso tempo il sentimento del peccato e della fragilità è motivo di tormento.
Mentre nella poesia
stilnovistica, e soprattutto in Dante, l’amore viene sublimato in una
dimensione spirituale, quasi depurato dalla contaminazione con il corpo a
vantaggio delle esigenze dell’anima, in Petrarca non è più possibile conciliare
questi due termini subordinando l’uno all’altro. L’anima e il corpo hanno forza
e diritti uguali e convivono nella coscienza del poeta sia pur con voci
contrastanti (Francesco e Agostino). Da qui l’esperienza del" doppio
uomo" che rende contraddittoria la sua vita interiore.
Anche dopo la morte di Laura, Petrarca non arriverà mai al disprezzo per il corpo e quindi ad aderire ad una visione ascetica: il corpo viene apprezzato sempre nella sua bellezza anche dopo la morte.
La principale ragione di interesse e di modernità di quest’opera sta proprio nel suo carattere aperto e problematico.
Anche dopo la morte di Laura, Petrarca non arriverà mai al disprezzo per il corpo e quindi ad aderire ad una visione ascetica: il corpo viene apprezzato sempre nella sua bellezza anche dopo la morte.
La principale ragione di interesse e di modernità di quest’opera sta proprio nel suo carattere aperto e problematico.
Nel Medioevo, il
motivo dello smarrimento trova sempre una risoluzione finale che prevede un
ritorno nella logica della virtù e dell’obbedienza alla legge divina.
Qui invece permane
sino alla fine una sorta di conflittualità interna che sembra ribadire
l’incapacità di operare una scelta decisiva.
Nel Secretum si può
individuare l’ambiguità petrarchesca.
Il tema è l’ambiguo amore di Francesco per Laura, cioè la sua consapevole attrazione per un corpo, mascherata da ragioni ideali e spirituali.
Il tema è l’ambiguo amore di Francesco per Laura, cioè la sua consapevole attrazione per un corpo, mascherata da ragioni ideali e spirituali.
Il dialogo tra
Franciscus e Augustinus, svolto alla muta presenza della Verità, è la lucida
analisi del Petrarca.
CXXXIV, Pace non trovo, et non ò da far
guerraPace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra 'l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto 'l mondo abbraccio.
Tal m'à in pregion, che non m'apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m'ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d'impaccio.
Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.
La rappresentazione di Laura
Nelle donne dello Stilnovo predominano le qualità morali
su quelle fisiche:
il loro carattere è di essere splendenti come il sole. Il loro saluto è salute
dell'anima.
Nel Canzoniere è il corpo di Laura che avvicina il
poeta; la sua virtù lo allontana, lo separa irrimediabilmente dalla donna
amata, è fonte di tormento.
Ma
senza l'onestà di Laura, l'abbandono alla passione avrebbe significato
perdizione. L'amore per Laura vive tutto dentro la contraddizione tra anima e
corpo, tra senso di colpa e bisogno di redenzione. Proprio per questo Laura
sottende una concretezza fisica che manca alle donne dello Stilnovo, pur conservando
alcuni tratti della convenzionalità stilnovistica: la soavità e la grazia
leggera della donna-angelo.
Un ritratto compiuto di Laura non si trova nel Canzoniere.
Il poeta rappresenta solo i particolari della sua
bellezza,
la cui idealizzazione non è mai ridotta ad allegoria, ma tradisce uno sguardo
voluttuoso. Anche Laura risponde al modello estetico della donna medievale: gli
occhi sono belli («vago lume»), i capelli biondi («vago e biondo capel»), il
riso dolce («come dolce parla e dolce ride»), il viso bello, gli «atti soavi»:
la bellezza è associata allo splendore, è «vivo sole», è luce che abbaglia,
oppure è «aspra e superba», la «fera che mi strugge», «pastorella alpestra e
cruda».
La donna
comincia tuttavia a muoversi nella natura e nel tempo, si anima in una varietà
di stati d'animo.
Laura
ora alza il velo per coprirsi dagli sguardi del poeta, ora invece il suo viso
pare «di pietosi color farsi». Non è sempre la stessa. Passano gli anni e la
bellezza non splende più come in gioventù negli «occhi ch'or ne son sì scarsi».
L'invecchiamento introduce una dimensione nuova, inconciliabile con lo
stilnovismo: la bellezza di Laura è fisica, caduca, perciò fonte di
un'attrazione e di una passione puramente terrene. Anche il topos stilnovista
dei capelli biondi è reinventato nel movimento delle chiome sparse al vento,
che, mentre recupera l'immagine classica di Venere, colloca la figura della
donna nella natura, conferendole mutevolezza e vitalità e consegna all'arte
rinascimentale un modello femminile destinato a larga fortuna.
Il corpo di Laura è al centro della canzone «Chiare,
fresche et dolci acque».
Il
poeta ne rappresenta solo i particolari fisici - le «belle membra», il «bel
fianco», I'«angelico seno», il «grembo», le trecce bionde - e li mette in
rapporto con i particolari della natura: le acque, il tronco, l'erba e i fiori,
l'aria serena. È stabilita così una corrispondenza, quasi uno scambio di vita,
tra le cose e le parti del corpo, tanto che alla fine della canzone il poeta
trova nel paesaggio quasi un oggetto sostitutivo della donna: «Da indi in qua
mi piace / quest'herba sì, ch'altrove non ò pace». Il corpo vivo e splendente
di Laura è messo in rapporto con il corpo morto del poeta, che immagina, almeno
dopo la morte, di divenire oggetto d'amore per la donna: «volga la vista
disiosa e lieta, / cercandomi» e «già terra infra le pietre / vedendo, Amor
l'ispiri / in guisa che sospiri / sì dolcemente». Anche nella forma così
sublimata di questa canzone il rapporto d'amore si configura come rapporto tra
corpi.
L'amore per Laura è passione, desiderio sensuale della
bellezza fisica e terrena.
Laura
riempie il poeta di «desire», essa è «sommo piacer vivo»; perciò la lontananza
è così angosciosa. Nella canzone «Di pensier in
pensier, di monte in monte» né il ricordo, né la natura possono
confortare il poeta per l'assenza del «bel viso», «che sempre m'è sì presso et
sì lontano». La figura di Laura assente non trova qui oggetti sostitutivi, è
una presenza mentale ossessiva che si manifesta nella disseminazione delle
parvenze della donna nella natura: «et pur nel primo sasso / disegno con la
mente il suo bel viso», «l' I'ò più volte [...] nell'acqua chiara et sopra
l'erba verde /veduta viva, et nel troncon d'un faggio». Pure parvenze che
«quando il vero sgombra / quel dolce error» lasciano il poeta nella
disperazione.
Dopo la morte di Laura il fantasma del suo corpo continua
ad attrarre il poeta.
Anche
se ha lasciato sulla terra la terrena scorza ed è ora anima felice, la donna
deve continuamente consolare il poeta per la perdita del proprio corpo, «quel
che tanto amasti / e là giuso è rimaso, il mio bel velo» (cfr. CCCII, Levommi il mio
penser in parte ov''era). AI poeta che piange per «i capei biondi, l'aureo
nodo... ch'ancor lo distringe» Laura invano ricorda la vanità della sua veste
terrena: «Quel che tu cerchi è terra, già molt'anni». Laura, pur «ignudo
spirito», assume in sogno i gesti concreti della madre, si siede sulla sponda
del letto, asciuga le lacrime; il poeta ne riconosce la presenza «a l'andar, a
la voce, al volto, a' panni».
Gli
attributi di Laura restano tuttavia sempre indeterminati: «bel viso», «bella», «viva».
Così
come nella canzone «Chiare, fresche et dolci acque» la sua figura è
disarticolata in particolari fisici generici sublimati in un paesaggio idillico
e stilizzato. Quanto più l'allusione alla natura terrena e sensuale dell'amore
si fa diretta e stringente, tanto più il corpo di Laura viene rimosso e negato
nella sua realtà materiale. Il poeta rappresenta gli effetti del desiderio,
della voluttà, della passione che la presenza corporea della donna provoca nel
proprio animo. Laura è anch'essa
trasformata in immagine simbolica, in archetipo: non è una donna, ma la donna.
Un archetipo tuttavia diverso da Beatrice.
Essa
richiama continuamente la bellezza e il fascino della creatura terrena, è un
termine della scissione interiore che travaglia il poeta. Bellezza terrena che
nemmeno la rappresentazione della morte mette in discussione. L'incontro di
Laura con la Morte nel Trionfo della morte è improntato al senso
classico e umanistico di rispetto della dignità del corpo: la morte è indolore,
non scompone la serenità e la bellezza del corpo di Laura, tanto che perfino la
morte «bella parea nel suo bel viso». La contemplazione estetica prevale sulla
meditazione mistico-religiosa. È questo il segno più evidente della ribellione
di Francesco a un'immaginazione macabra della morte, e quindi il segno del
distacco, sia pure contrastato, dalla concezione medievale della vita e della
morte.
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