(Gertrude Stein, Sacred Emily, 1913)
A volte
abbiamo bisogno di dare o ricevere conferme e, per questo, ripetiamo le parole
che contengono i concetti chiave dei nostri discorsi. Lo fanno anche i poeti,
anzi: in letteratura la ripetizione ha un peso specifico molto più importante
che nella lingua quotidiana. Pensate a quando Leopardi scrive, nei Pensieri,
“quell’arte che sola fa parer uomini gli uomini”, o a Manzoni, che nei Promessi
sposi scrive “La mattina seguente, don Rodrigo si destò don Rodrigo”. È
chiaro che don Rodrigo si risvegli don Rodrigo: e chi se no? Eppure questa
ripetizione, che è una tautologia, rafforza la frase e ci costringe a fermarci
e a riflettere: in che senso don Rodrigo si risveglia don Rodrigo? A quale
caratteristica del suo personaggio allude Manzoni? Che cosa non è cambiato
in lui nonostante il sonno?
Facciamo
tautologie di continuo: “Io non sono più io”, diciamo, “quel poeta scrive
poesie” e così via.
I significati della rosa
Eppure c’è un
caso particolare di tautologia, la diafora, che non si limita a ripetere un
concetto, ma lo amplia. Prendete l’esempio, celeberrimo, di Gertrude Stein:
dice semplicemente “Rosa è una rosa è una rosa è una rosa”, e sembra compia uno
sforzo inutile. Certo che una rosa è una rosa e, all’apparenza, la ripetizione
ossessiva del termine sembra avere soltanto una funzione estetica (ripetetevi
nella mente il verso come se fosse un mantra: è ipnotico e bellissimo). Invece
succede che, a ogni nuova “rosa”, ci viene l’idea che il senso del discorso si
faccia via via più grande, più misterioso e carico di significati che la
semplice parola “rosa” non contiene. Che cosa succede? Lo spiega Umberto Eco in
un saggio, La struttura assente, in cui individua addirittura cinque
cose che succedono grazie a quella frase apparentemente semplice:
1. c’è un eccesso
di ridondanza, e la ridondanza genera tensione: la Stein ci vuole dire
qualcosa;
2. il principio
di identità (“una rosa è una rosa”) è così marcato e ripetuto che diventa
ambiguo: è davvero una rosa, quella di cui parla Stein? La terza volta che
nomina la rosa intende la stessa rosa della prima volta?
3. Perché Stein
ci dice questa cosa in questo modo? Che cosa vuole dire davvero?
4. Forse ripete
ossessivamente la parola “rosa” perché vuole alludere ai suoi significati
simbolici: ci sta parlando dell’amore senza nominarlo? Vuole solo suggerirlo?
Dunque sì: la prima rosa è una rosa, la seconda forse è già l’amore… e la
terza? (Tenete poi conto che, nella poesia, si nomina a un certo punto un certo
Jack Rose…);
5. Che cosa
capisco io di quello che mi sta dicendo Stein? Lei dice soltanto “rosa”, e mi
lascia libero di riempire quella parola dei significati che più mi appartengono
e sento vicini. Chiama in causa letture, sentimenti, congetture. Chiama in
causa me.
Nessun commento:
Posta un commento