GAIO SALLUSTIO CRISPO
Amiterna, Sabina, 85 ca- Roma, 35 o 36 a.C.
VITA
Un protagonista, non proprio "trasparente", della politica del suo
tempo.
S. nacque da famiglia provinciale e plebea, ma abbastanza
agiata, tal che egli poté completare la sua formazione a Roma, venendo in
contatto con la scuola neopitagorica di Nigidio Figulo; partecipò anche, e
volentieri, alla vita mondana della capitale. Politicamente si affiancò ben
presto a Cesare, e per questo suo impegno ottenne la carica di "questor",
nel 54. Questo fu un anno molto turbolento per la politica romana: vi fu
l'uccisione di Clodio, un demagogo del popolo, ad opera di Milone. S. si
schierò decisamente contro quest'ultimo e anche contro Cicerone, suo difensore.
Nel 50, fu espulso dal senato per immoralità (aveva infatti - presumibilmente -
una relazione con Fausta, figlia di Silla e moglie in seconde nozze con
Milone): ma in realtà, il provvedimento nascondeva piuttosto mene politiche e
rancori personali. Durante le guerre di quel periodo, fu sempre fedele a
Cesare, aiutandolo anche alle operazioni militari in cui, però, non risultò
sempre vincitore.
Questa fedeltà, tuttavia, gli fu
premiata con la riconquista, nel 48, della questura e della dignità senatoria.
Alla fine del 47 seguì Cesare in Africa, e portò a compimento un'operazione
militare, conquistando l'isola di Cercina. A seguito di questo successo, Cesare
gli affidò il compito di governatore della cosiddetta Africa Nuova,
costituita dal vecchio regno numidico di Iuba. In quei mesi di governo, poté
accumulare notevoli ricchezze (non diversamente, del resto, dagli altri
colleghi del suo tempo: ma non possiamo giurare sul fatto che la sua amministrazione
fu tanto disonesta e rapace quanto le testimonianze avversarie ci vogliono far
credere), che gli permisero - dopo la morte di Cesare ed il suo ritiro dalla
vita pubblica, nei celebri e bellissimi "Horti Sallustiani" -
di vivere il resto della sua esistenza in ricchezza, dedicandosi esclusivamente
alla composizione delle sue opere.
OPERE.
Di Sallustio abbiamo:
1] due monografie:
- "DE CONIURATIONE CATILINAE" (42?)
Con essa, lo storico interrompe la tradizione
annalistica della storiografia romana e si occupa di un episodio di storia
contemporanea – appunto la congiura e il moto del 63-62 – facendovi precedere
un’analisi della condotta cesariana del 66-63, vista come unica valida
alternativa al corrotto "regime dei partiti", con riflesso sulle sue
scelte politiche.
Dopo un proemio moraleggiante e
filosofico, impostato sull'affermazione che l'uomo è composto di anima e di
corpo e che le facoltà spirituali devono prevalere su quelle materiali (facoltà
spirituali precipue sono l'attività politica, quella militare, quella oratoria,
quella storiografica), tutta la prima parte restante dell’opera è,
praticamente, un’analisi e un’esegesi dell’inquietante fenomeno rivoluzionario,
alla luce di categorie storiche, morali e psicologiche. Ne risulta, perciò, un quadro
fosco, ma estremamente vivace, di una società profondamente corrotta, su cui
campeggia come figura dominante Catilina, intelligente, coraggioso e malvagio:
una figura sinistra, ma estremamente affascinante, al cui carisma sembra non
riuscire a sottrarsi neanche lo stesso S.. Accanto a Catilina, troviamo poi
altri personaggi "studiati" con eguale interesse: i congiurati,
Sempronia, Cicerone (per quanto ridimensionato) e soprattutto Cesare e Catone
(visti come entrambi positivi – direi "complementari" – per Roma: uno
con la sua liberalità, munificenza e misericordia; l’altro con la sua "integritas",
"severitas", "innocentia"…).
Come già si può arguire da quanto
detto, il metodo e il fine adottati nell’analisi sono moralistici: S. ritiene
che l’antica grandezza della repubblica fosse garantita dall’integrità e dalla
virtù dei cittadini, e vede nel successo, nella ricchezza e nel lusso le cause
della decadenza e la possibilità di tentativi come quello di Catilina.
- "BELLUM IUGURTHINUM"
(40 ca)
Narra, in 114 capitoli, la guerra combattuta dai romani (111-105 a.
C.) contro appunto Giugurta, re di Numidia. Ma il pretesto bellico serviva a
mascherare un'altra guerra, quella interna, del popolo che combatteva la
prepotenza della nobiltà senatoria, la quale delle imprese militari si era
creato un monopolio a beneficio dei suoi appaltatori, avidi di nuovi guadagni
provinciali.
Così, anche qui il taglio è moralistico e scopertamente
politico: se infatti, da una parte, S. si dimostra capace di forti sintesi
storiche, dall’altra rivela vigore polemico nel denunciare l’incompetenza della
"nobilitas" nella conduzione della guerra, e la sua corruzione
generale; nel valorizzare le ragioni espansionistiche della classe mercantile;
nell’auspicare la nascita di una nuova aristocrazia, fondata sulla "virtus"
(a tal proposito, si ricordi il discorso di Mario, contenuto nell'opera).
2] LE "HISTORIAE"
Di cui abbiamo un numero abbastanza cospicuo di
frammenti di 5 libri e alcuni discorsi. Esse riprendono e sviluppano le
"Historiae" di Sisenna, andando dalla morte di Silla (78) fino
(probabilmente) alla guerra di Pompeo contro i pirati (67). Dai frammenti, si
evince che S. era ritornato all’annalistica (ma, diversamente dall'annalistica
tradizionale, non iniziava "ab urbe condita" e trattava solo
una serie di avvenimenti, per lo più contemporanei) e che il suo pessimismo si
era, se possibile, acuito.
3] Oggi non conosciamo più la sua
traduzione dei poemi di Empedocle (ammesso che l' "Empedoclea",
di cui parla Cicerone in una lettera, sia davvero opera sua). A lui si
attribuiscono anche 2 epistole politiche a Cesare, nelle quali addita al
dittatore le possibili riforme dello stato (in primo luogo, l'abolizione del
capitalismo), che ponessero freno al lusso dei nobili ed attuassero una più
profonda giustizia sociale; quasi sicuramente spuria è invece un’invettiva
contro Cicerone, di scuola retorica.
CONSIDERAZIONI
La storiografia come strumento
d'indagine politica ed arma ideologica.
S. - adottando una tecnica a suo modo rivoluzionaria (ma avendo già l'illustre
esempio delle "monografie" cesariane) - scelse di raccontare la
storia di Roma "carptim", ovvero "per argomento"; e
i temi delle sue due "monografie" rispondono ad intenti ben precisi:
mostrare - soprattutto - in che modo un regime aristocratico, quale quello
instaurato dopo la sconfitta dei Gracchi, fosse andato progressivamente in
rovina.
La prima delle cause era - secondo
il nostro - da ricercare negli scandali che avevano accompagnato la guerra
contro il re numida Giugurta, e che avevano messo in luce i compromessi e la
corruzione di quegli stessi uomini che, nel senato, erano i responsabili della
politica romana: la stessa personalità universalmente rispettata di Metello, cui
si era finito per dare il carico della guerra, non bastò a impedire l'ascesa di
C. Mario, al quale il popolo affidò l'incarico di porre termine a una guerra
quasi conclusa da Metello, raccogliendone quindi i frutti della gloria. Questo
episodio aveva segnato, in effetti, l'inizio delle guerre civili, che dovevano
provocare le smisurate ambizioni dello stesso Mario.
La
"Congiura di Catilina", mettendo in luce i crimini di cui erano stati
complici un pugno di aristocratici, esaminava - a sua volta - le cause morali
di tale decadenza: gusto del piacere, corruzione dei costumi, sfrenata avidità
di denaro. La forza di Catilina, e il suo pericolo per lo stato, era consistita
soprattutto nella sua abilità demagogica nel farsi interprete dei malcontenti e
dei disagi di una plebe anarchica e faziosa, di nobili ridotti in rovina, di
giovani squattrinati amanti del piacere, di uomini - insomma - una volta
appartenuti al partito di Silla.
LA
CONTRADDIZIONE
Dunque, S. considerò la
storiografia - ritenuta comunque inferiore alla politica attiva - non solo come
cronaca di fatti, ma anche come "archeologia", cioè come ricerca
delle loro cause: essa quindi tende a configurarsi come indagine sulla crisi, e
l’impostazione appunto monografica ben si prestava alla messa a fuoco di un
periodo o problema storico: analisi che lo storico conduce a partire comunque e
sempre da un moralismo di fondo, da una profonda contraddizione - che
appartenne al suo tempo ed alla sua stessa vita - tra essere e dover essere,
tra le parole e i fatti, tra i propositi e le realizzazioni. Il quadro che lo
storico dipinge è, così, già quasi degno di Tacito, nelle sue movenze
drammatiche, per non dire tragiche.
UNO SGUARDO AL
RECENTE PASSATO, VELATO DI IDEOLOGIA E MALINCONIA.
S. scrive le sue pagine dopo la rivoluzione guidata da
Cesare (senza dubbio dopo la morte dello stesso dittatore), e dopo che il mondo
da lui evocato, anche se appartiene ad un passato recentissimo, si è già
definitivamente dissolto sul campo di battaglia di Farsàlo; questa movenza
"retrospettiva" ha, tuttavia, anch'essa una motivazione politica: per
lo scrittore sabino, <<il punto d'arrivo della storia di Roma è Cesare,
egli non procede oltre; anzi risale "a ritroso" il corso delle
generazioni, per "spiegare" e "giustificare" Cesare e
l'opera sua (e quindi se stesso)>> [I. Lana]. Di qui l'incapacità
dell'uomo di elevarsi ad una visione obbiettiva e spassionata dei fatti.
Tuttavia, S. non è un "democratico" che rivendica
al popolo una parte di potere: come i suoi predecessori, da Catone a Cicerone,
si propone piuttosto come l'avvocato dei valori morali essenziali, un adepto di
quel "conservatorismo intelligente" che - nella convinzioni di questi
intellettuali - è il solo a poter salvare Roma. E’ il programma che Augusto
riprenderà alcuni anni dopo.
UNO STILE ORIGINALE: L' "INCONCINNITAS"
Un'altra caratteristica dell'opera di S. è la consapevole
originalità del suo stile, nel quale si giustappongono ricercati arcaismi e
ardite innovazioni ("arcaismo innovatore"), termini presi dal
linguaggio familiare ed ellenismi. Egli vuole, innanzitutto, dare
un'impressione di vita, in virtù di un periodo serrato e vibrante, di scorci
rapidi e di giri sintattici "atemporali" (è la famosa "inconcinnitas"
sallustiana), come l'impiego ripetuto di ellissi, dell'infinito narrativo o lo
sviluppo sistematico di proposizioni participiali che costituiva, tra l'altro,
uno dei tratti caratteristici e di maggior rilievo dello stile narrativo dei
greci.
Questa lingua composita suscita oggi l'impressione di una
certa artificiosità, o comunque rimane lontana da quella
"naturalezza" ciceroniana, che ci è invece familiare: non dobbiamo
credere, tuttavia, che il periodo ciceroniano fosse più vicino alla lingua
parlata e la frase di S., invece, la libera creazione di un artista. La lingua
quotidiana si collocava, in realtà, alla medesima distanza sia dall'uno che
dall'altra. Per sua natura, non era né periodizzata né ritmata. Ma neppure
disponeva delle molteplici risorse che S. mette insieme.
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