L'età rinascimentale
vede una notevole evoluzione della figura femminile in molti ambiti, portando a
una sua effettiva emancipazione rispetto alla cultura del Medioevo e
giungendo a una sua "promozione sociale" quale non si sarebbe vista
almeno sino al tardo Settecento in Europa, per quanto il ruolo della donna
restasse subordinato all'uomo in più campi (per un'effettiva parità dei sessi
bisognerà attendere l'età contemporanea). Naturalmente questo discorso vale
quasi esclusivamente per la società aristocratica e non riguarda gli
strati popolari più bassi, peraltro al di fuori degli interessi della cultura
classicista più elevata, e se ne ha un riflesso nella rappresentazione del
mondo della corte al centro della letteratura del Cinquecento in cui,
accanto agli uomini detentori del potere politico e militare, compaiono alcune
figure di nobildonne non più relegate in una posizione subalterna, come
avveniva ad es. in molte novelle del Decameron di Boccaccio. Un esempio
significativo è dato dal Cortegiano, in cui la raffinata discussione
inscenata alla corte di Urbino vede come interlocutrici anche due donne (la
duchessa Elisabetta di Gonzaga e sua cognata Emilia Pio) e il trattato
teorizza il comportamento degli uomini e delle donne di corte, anche se nei
riguardi di queste ultime permane una certa ambiguità di fondo: la
rappresentazione delle "cortigiane" oscilla tra un'immagine
nobile e dignitosa, di dame di corte che devono allietare la brigata signorile
con la loro leggiadria, e una invece molto più degradata, di figure destinate
all'intrattenimento dell'uomo e "oggetto del desiderio" che verrà
espressa in più di un autore del periodo rinascimentale. Si tratta del concetto
appunto di "cortigiana" che nella sua variante più modesta divenne
quasi sinonimo di prostituta, o quanto meno di donna facile che si
concede ai suoi spasimanti più o meno altolocati e che avrà ruolo da
protagonista in tante opere letterarie di stile più comico-realistico, a volte
con sfumature tendenti alla misoginia da parte degli scrittori uomini (sul punto
si veda oltre). In generale le cortigiane più nobili erano donne colte,
lettrici di opere letterarie e a volte musiciste, figure insomma affini alle etère
della civiltà greca classica, mentre è indubbio che lo sviluppo di questo
ruolo sociale sia connesso con una certa libertà nel campo della morale
sessuale che si riflette in molte manifestazioni della cultura rinascimentale e
che pochi anni dopo, nel clima cupo della Controriforma, non sarebbe stato più
possibile.
Molte cortigiane nobili erano anche colte, come si è detto, e alcune di esse furono poetesse e produssero dei "canzonieri" di liriche di stampo petrarchista, dando vita a un filone di "letteratura femminile" che fu il primo esempio il tal senso nella cultura italiana, e anche l'ultimo prima dell'inizio dell'emancipazione femminile nel tardo Settecento (l'età della Controriforma e del Barocco non era certo incline a simili manifestazioni di indipendenza e libertà). Tra i nomi più significativi delle scrittrici rinascimentali ricordiamo Vittoria Colonna (1492-1547), personaggio complesso al centro di molti amori travagliati (fu amata senza successo anche da Michelangelo), vicina a certe istanze religiose della Riforma protestante e infine sposa al marchese d'Avalos cui fu legata da grande devozione e che celebrò nelle sue poesie da vivo e da morto; altra figura notevole fu la padovana Gaspara Stampa (1523-1554), una cortigiana di alto livello che amò un certo Collaltino di Collalto e ne fu abbandonata, vicenda amorosa che trova spazio nel suo canzoniere che si segnala come uno dei più vivaci della poesia del Cinquecento. A un livello culturale più modesto si collocano poi Tullia d'Aragona, autrice di un trattato Della infinità d'amore e di rime petrarchiste e platonizzanti, Veronica Gambara, seguace fedele delle teorie linguistiche del Bembo, e la "cortigiana honesta" Veronica Franco, autrice di terze rime non di stretta osservanza petrarchesca, spesso di contenuto morbidamente sensuale. I nomi citati sono solo alcuni delle molte poetesse che animarono questa lirica femminile e non c'è dubbio che queste scrittrici si presentino in maniera spesso più originale rispetto ai loro colleghi petrarchisti uomini, molti dei quali sono dei semplici imitatori di maniera del grande modello, mentre alcune di queste cortigiane diedero una rilettura personale al capolavoro del Trecento ed espressero il punto di vista della donna che finora era stata solo oggetto del desiderio dei poeti, ribaltando in certo qual modo una situazione poetica che fino ad allora era stata rigidamente cristallizzata (almeno dai tempi dello Stilnovo, rispetto al quale la poesia petrarchesca era stata una successiva rielaborazione in chiave più moderna).
Molte cortigiane nobili erano anche colte, come si è detto, e alcune di esse furono poetesse e produssero dei "canzonieri" di liriche di stampo petrarchista, dando vita a un filone di "letteratura femminile" che fu il primo esempio il tal senso nella cultura italiana, e anche l'ultimo prima dell'inizio dell'emancipazione femminile nel tardo Settecento (l'età della Controriforma e del Barocco non era certo incline a simili manifestazioni di indipendenza e libertà). Tra i nomi più significativi delle scrittrici rinascimentali ricordiamo Vittoria Colonna (1492-1547), personaggio complesso al centro di molti amori travagliati (fu amata senza successo anche da Michelangelo), vicina a certe istanze religiose della Riforma protestante e infine sposa al marchese d'Avalos cui fu legata da grande devozione e che celebrò nelle sue poesie da vivo e da morto; altra figura notevole fu la padovana Gaspara Stampa (1523-1554), una cortigiana di alto livello che amò un certo Collaltino di Collalto e ne fu abbandonata, vicenda amorosa che trova spazio nel suo canzoniere che si segnala come uno dei più vivaci della poesia del Cinquecento. A un livello culturale più modesto si collocano poi Tullia d'Aragona, autrice di un trattato Della infinità d'amore e di rime petrarchiste e platonizzanti, Veronica Gambara, seguace fedele delle teorie linguistiche del Bembo, e la "cortigiana honesta" Veronica Franco, autrice di terze rime non di stretta osservanza petrarchesca, spesso di contenuto morbidamente sensuale. I nomi citati sono solo alcuni delle molte poetesse che animarono questa lirica femminile e non c'è dubbio che queste scrittrici si presentino in maniera spesso più originale rispetto ai loro colleghi petrarchisti uomini, molti dei quali sono dei semplici imitatori di maniera del grande modello, mentre alcune di queste cortigiane diedero una rilettura personale al capolavoro del Trecento ed espressero il punto di vista della donna che finora era stata solo oggetto del desiderio dei poeti, ribaltando in certo qual modo una situazione poetica che fino ad allora era stata rigidamente cristallizzata (almeno dai tempi dello Stilnovo, rispetto al quale la poesia petrarchesca era stata una successiva rielaborazione in chiave più moderna).
La donna è poi
protagonista nel Rinascimento anche come personaggio letterario, anche
se da questo punto di vista si assiste ad atteggiamenti di segno radicalmente
opposto da parte dei vari scrittori: la figura femminile viene celebrata ad es.
da Ludovico Ariosto che nell'Orlando furioso presenta una vasta
gamma di protagoniste donne e descrive un po' tutte le sfaccettature
dell'universo femminile a lui noto, per cui si hanno personaggi astuti e
calcolatori come Angelica (poi redenta dall'amore), guerriere altere e
coraggiose come Bradamante e Marfisa, donne fedeli al proprio uomo sino al
punto di sacrificarsi per lui, come fanno Isabella e (quasi) Olimpia, maghe
benevole e malvagie, come Melissa e Alcina, solo per fare gli esempi più noti.
È chiaro che tale rappresentazione riflette la visione di quel mondo chiuso
della corte che era l'ambiente naturale dell'autore e infatti tutte queste
donne appartengono alla classe aristocratica, ma è notevole che molte di loro
manifestino la stessa forte indipendenza che si ravvisa nelle principali "cortigiane"
del secolo e mostrino in alcuni casi una libertà in campo sessuale paragonabile
a quella di molte donne reali del Rinascimento italiano, specie Angelica che
prima usa abilmente il suo fascino per abbindolare gli uomini e poi,
innamoratasi di Medoro, si ravvede e decide addirittura di sposarlo e di andare
con lui nel Catai (ed è interessante che la figlia di un re sposi addirittura
un umile fante, quasi a dire che l'amore travalica le classi sociali
diversamente da quanto accade nel mondo reale). Accanto ad Ariosto vi sono
tuttavia altri scrittori che danno una rappresentazione ben diversa della donna
e incline decisamente alla misoginia, come Niccolò Machiavelli che nella
Mandragola tratteggia la figura di Sostrata in maniera impietosa, e
soprattutto nella Novella di Belfagor arcidiavolo rappresenta le donne
come la sciagura degli uomini, specie nel personaggio di Monna Onesta che rende
la vita impossibile al diavolo protagonista e lo spinge a tornare all'inferno.
Affine a questa rappresentazione è la satira anti-femminile che si trova in
molte liriche di Francesco Berni, autore anche di alcuni sonetti in cui
si fa l'elogio della donna brutta, parodia di una lirica petrarchista di
Bembo), mentre una rappresentazione tagliente e provocatoria delle "cortigiane"
di basso livello si ha anche in Pietro Aretino, che nei suoi Ragionamenti
teorizza in modo beffardo che il destino delle donne è di diventare
monache, spose o cortigiane, tre "mestieri" uniti provocatoriamente
dal sesso, e nel Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa vediamo
addirittura una madre che istruisce la figlia su come vendersi agli uomini, con
intenti provocatori e dissacranti.
La figura del
cortigiano è del resto messa alla berlina dall'Aretino a tutto campo e spesso
nelle sue opere c'è una deformazione grottesca del mondo della corte che lui
peraltro conosceva, come nelle commedie che offrono uno spaccato
paradossale (anche se non del tutto irrealistico) della società aristocratica
del tempo, in cui regna la corruzione investendo in modo simile tanto le donne
che gli uomini.
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