La maledizione di Faust
Nel Doctor Faustus (1947), capolavoro della maturità di Thomas
Mann, il protagonista Adrian Leverkün – un musicista dotato che diverrà
geniale e perduto dopo aver stretto un patto con il diavolo – capisce
di aver firmato la propria definitiva condanna all’uscita di una casa di
tolleranza di Lipsia: lì, dove si reca per la prima volta in vita sua,
accompagnato da un misterioso zoppo incontrato per caso, conosce una
prostituta che lo mette in guardia: è malata. Incurante
dell’avvertimento, Adrian contrae uno dei grandi mali del periodo a
cavallo tra il XIX e il XX secolo, la sifilide – una malattia che lo
porterà alla demenza e che, nel romanzo, è uno dei simboli della sua
dannazione e decadenza. All’uscita dal bordello, mentre già sente
che qualcosa nel suo corpo non è più come prima, il nuovo Faust
incrocia un cane nero in cui gli sembra di riconoscere il diavolo. Nel
contratto con Mefistofele, ad Adrian sono concessi 24 anni di tempo:
tanti ne servono, infatti, alla malattia per portarlo alla morte e a lui
stesso per creare un’opera musicale senza pari nella storia
dell’umanità. Allo scadere di quel tempo, come nella tradizione
faustiana, la sua anima sarà dannata in eterno e consegnata a
Mefistofele.
La casa di tolleranza come soglia
Varcare la soglia di una casa di tolleranza e incontrare una
prostituta, in letteratura, non è quasi mai un atto neutro: se, da una
parte, nella letteratura dell’Ottocento e del primo Novecento,
frequentare le case di piacere è un atto “normale”, consueto e privo di
quell’aura di scandalo che avrebbe farlo in un libro ambientato ai
nostri giorni, è anche vero che ogni personaggio che si getta nelle
braccia di una prostituta subisce una modificazione. Si esce da
quell’esperienza diversi da come vi si è entrati: si paga per l’amore,
per la compagnia, per sconfiggere la propria solitudine ma, una volta
fuori, ci si trova cambiati. Così, Adrian prende coscienza della propria
dannazione e inizia il lungo percorso che lo porterà alla follia, ma
non sono rari nemmeno gli innamoramenti: esemplare è quello che travolge
Antonio Dorigo, protagonista di Un amore (1963) di Dino Buzzati.
Il romanzo racconta la storia di un uomo di cinquant’anni, Dorigo
appunto, incapace di innamorarsi: per lui le donne sono creature lontane
che non è in grado di comprendere. Frequenta abitualmente, senza
implicazioni sentimentali, una casa d’appuntamenti a Milano. Finché tra
le ragazze non arriva Laide, giovanissima eppure cinica, sprezzante: di
lei Dorigo si innamora perdutamente e la corteggia, benché lei ne
respinga l’affetto e voglia mantenere la relazione su un piano puramente
professionale. La vita di Dorigo cambia ugualmente: egli mantiene la
ragazza, la tratta come sua nonostante il disprezzo che riceve in
cambio. Poco importa, sembra dire Buzzati: l’importante è che questo
amore sporco abbia acceso nel suo protagonista una scintilla di vita.
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per leggere un ritratto di Henri de Toulouse-Lautrec, pittore francese
che frequentò e ritrasse le case di tolleranza parigine di fine
Ottocento
Pieni di prostitute sono i romanzi del grande scrittore russo Fëdor
Dostoevskij: esse vi giocano sempre un ruolo chiave. Simbolo di
perdizione e di miseria, sono però, al tempo stesso, creature dotate di
una dignità e una purezza che non sempre i protagonisti dei romanzi
dostoevskiani possiedono. Due esempi su tutti: le Memorie dal sottosuolo (1864) e Delitto e castigo (1866). Nelle Memorie,
sordida storia di un personaggio in guerra con il mondo e con se
stesso, il narratore si presenta come un uomo malato, più intelligente
degli altri e per questo fuori posto, solo. Egli cerca costantemente
rifugio nell’irrazionalità e nell’auto-umiliazione: si considera un
individuo abietto, che passa la propria vita in povertà analizzando
impietosamente le proprie contraddizioni e bassezze. Convivono in lui la
tentazione di umiliarsi mettendo sulla pubblica piazza le proprie
miserie e la smania irrazionale di emergere. Così, nella seconda parte
del romanzo, egli fa la cronaca delle azioni più basse che ha compiuto
nella vita: l’apice è il suo rapporto con Liza, ingenua prostituta a cui
fa credere di essere un benefattore e di essere innamorato di lei.
Perché? Per provare a se stesso quanto in basso ci si può spingere.
L’ultimo incontro tra i due è drammatico: convinta di aver trovato
l’amore e di potersi liberare della sua professione, Liza va a casa del
narratore che invece la umilia pagandola.
Sonja, invece, in Delitto e castigo fa la prostituta per
mantenere la famiglia: ma è una donna pura, pia, capace di assumere su
di sé il dolore degli altri e di riscattarlo. Si innamora, ricambiata,
di Raskol’nikov, il protagonista del romanzo: egli ha commesso un
omicidio per dimostrare a se stesso di essere un grand’uomo e si ritrova
solo, disperato, in preda alle febbri. È grazie a Sonja che
Raskol’nikov accetterà di guardare in faccia la propria colpa e di
espiarla: insieme partiranno, alla fine del romanzo, per la Siberia,
dove lui sconterà la pena e lei lo aspetterà.
Delitto e castigo in un video di tre minuti: clicca qui per vederlo
Katjuša Maslova è un’altra figura dalla grande forza morale che attraversa le pagine di Resurrezione
(1899), ultimo romanzo di Lev Tolstoj: costretta a prostituirsi, viene
accusata di omicidio. Al processo, tra i membri della giuria c’è il
principe Nechljudov, che in un’altra vita sedusse la donna e contribuì
alla sua sfortuna. Una volta condannata, Katjuša parte per la Siberia
seguita dal principe – i cui sensi di colpa nei suoi confronti lo
spingono a chiederle di sposarla e ad abbandonare tutto per lei. Ma la
donna diffida di lui e lo tiene lontano: compirà da sola il percorso che
la porterà alla redenzione e sceglierà, per una volta in modo autonomo,
la strada da percorre a fianco di un compagno di detenzione.
Riscatto a Hollywood
All’inizio degli anni Novanta tutto il mondo si è innamorato di una
prostituta. Si trattava di Vivian Ward, protagonista del celebre film Pretty Woman
(1990) e interpretata da Julia Roberts. La sua storia, in tutto e per
tutto una favola, è presto detta: tra i suoi clienti c’è Edward Lewis,
un miliardario senza scrupoli che la adesca, la “affitta” per una
settimana e finisce per innamorarsi di lei, ricambiato. Grazie
all’amore, lei potrà affrancarsi dalla sua professione e lui, invece,
scoprirà, come si conviene a ogni commedia americana, il valore dei
sentimenti.
https://youtu.be/Wzii8IuL8lk
Piccola storia di un cliente bugiardo
Dunque l’amore, benché in una forma bizzarra e sofferta, è sempre al
centro delle grandi narrazioni che si avvicinano al mondo della
prostituzione. I protagonisti di questi romanzi avvicinano le prostitute
per cercarvi piacere, ma anche perché, in fondo, sono convinti di
trovare in loro un’eco della propria bassezza. Vi trovano invece,
spesso, una dignità e una forza morale che li travolge.
C’è però anche il rovescio della medaglia, ovvero la disperazione.
Non tutti i romanzieri hanno creato figure di prostitute idealizzate:
qualcuno ne ha raccontato il lato tragico, privo di speranza. È quello
che succede nel capitolo intitolato Le ragazze di Soroca in Kaputt (1944)
di Curzio Malaparte. A Soroca, una cittadina Moldavia, durante la
Seconda guerra mondiale il protagonista viene a sapere che è stato
aperto dai tedeschi un bordello militare: vi si prostituiscono,
costrette, delle ragazze ebree a cui i nazisti, mentendo, promettono di
salvare la vita. Ogni venti giorni le ragazze vengono sostituite: quelle
vecchie vengono portate al fiume e fucilate. Quasi impazzite di dolore e
terrorizzate dal sospetto di venire uccise dai tedeschi, le ragazze
accolgono il narratore e si confidano con lui: egli sa che, entro pochi
giorni, verranno sostituite. Dunque si siede con loro (senza andare “di
sopra”) e comincia a mentire, raccontando loro che torneranno a casa,
potranno riprendere gli studi e trovare un fidanzato. Dà loro, in una
scena quasi speculare a quelle di Delitto e castigo in cui è Sonja a consolare e a mostrare compassione, ciò che non potranno mai più ricevere: un po’ di pietà e di calore umano.
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