AMAI
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica, difficile del mondo
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non
l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
(Umberto Saba, 1946)
I poeti hanno
ormai dichiarato guerra alle rime facili: cuore/amore, fiore/amore, dolore/amore
e così via. Diciamocelo, allora, e una volta per tutte: è l’amore il problema,
perché è lui, con quella sua desinenza così banale, a chiamare a sé
l’accostamento con parole trite. Bisognerebbe dunque abolire l’amore dalle
poesie come dalle canzoni: si eviterebbero così metafore sciocche e metonimie
trite. O sineddochi?
Il problema
della distinzione
Quando uno,
riferendosi alle proprie delusioni amorose allude al cuore fa una metafora e,
allo stesso tempo, una metonimia: la metonimia è una figura che designa, per
esempio, la causa per l’effetto, il contenente per il contenuto («Bere un
bicchiere»), l’autore per l’opera («Leggo Leopardi») e così via. È una
metonimia anche dire “cuore” per “amore”: il cuore è infatti un simbolo, e in
un certo senso è un contenente per il contenuto (anche se non è vero, siamo
ormai tutti convinti che il cuore contenga il sentimento dell’amore).
A differenza
della metonimia, di cui è parente stretta, la sineddoche designa “la parte per
il tutto”: singolare per il plurale, specie per il genere e via dicendo.
E tuttavia per
molti studiosi la differenza tra queste due figure retoriche è tanto sottile
che non c’è. Entrambe servono per parlare di qualcosa senza nominarla
direttamente. Qualcuno dice che c’è sineddoche quando i termini che usiamo
hanno tra loro un rapporto di quantità, mentre c’è metonimia quando il rapporto
si basa sulla qualità. Ma le cose non sono così chiare.
Ci sono per
esempio casi, come la frase «Il soldo comanda e la spada lavora», in cui le
parole “soldo” e “spada” possono essere sia metonimia che sineddoche: sono
metonimia perché, per esempio, il soldo sta a indicare “chi ha soldi”, i
ricchi; sono sineddoche perché viene usato il singolare per il plurale. Dunque,
che fare? L’abbiamo detto: cominciamo a eliminare l’amore, ne guadagneremo in
originalità e ci risparmieremo di dover fare troppe distinzioni.
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