SONETTO VIII
Quante
maschere e sottomaschere noi indossiamo
Sul nostro
contenitore dell’anima, così quando,
Se per un mero
gioco, l’anima stessa si smaschera,
Sa d’aver
tolto l’ultima e aver mostrato il volto?
La stessa
maschera non si sente come una maschera
Ma guarda di
fuori di sé con gli occhi mascherati.
Qualunque sia
la coscienza che inizi l’opera
Sua, fatale e
accettata sorte è l’ottundimento.
Come un bimbo
impaurito dall’immagine allo specchio
Le nostre
anime, fanciulle, rimangono disattente,
Cambiano i
loro volti conosciuti, e un mondo intero
Creano su
quella loro dimenticata causa;
E, quando un
pensiero rivela l’anima mascherata,
Esso stesso
non va a smascherare da smascherato.
(Fernando
Pessoa, 1918, trad. it. Ugo
Serani)
La perifrasi è
un giro di parole, una frase, usati per sostituire o definire un unico termine:
così, per esempio, nella Commedia Dante parla di «Colui che tutto move»
anziché di Dio, e Montale, in Piccolo testamento, parla della sua testa
come della «calotta del mio pensiero». Si usano moltissime perifrasi nella vita
quotidiana (per esempio «operatore ecologico» per «netturbino, «è passato a
miglior vita» per «è morto») ma anche in prosa. Sentite come Gadda, ne Le
bizze del capitano in congedo, sostituisce «vita umana»: «[…] millenaria
insistenza a voler rimanere abbarbicati alla meravigliosa crosta terrestre».
L’ultima
parola
Ma forse tutta
la letteratura non è che un’enorme perifrasi, un complicato stratagemma per
farcire di parole i concetti fondamentali che regolano la vita umana. Marco
Rossari (1973), ha scritto un libro di racconti in cui parla anche di questo: L’ultima
parola, contenuto in L’unico scrittore buono è quello morto (2012),
racconta di uno scrittore alle prese per anni con uno stesso libro – il libro
della sua vita: sono mille pagine fittissime in cui ha messo dentro tutto ciò
che è e che sa. Gli editori però gli dicono che è troppo lungo: deve tagliarlo.
Così lo scrittore comincia a lavorarci: cancella dapprima alcuni punti, le
virgole, poi singole parole, poi intere frasi, poi paragrafi, quindi pagine e
perfino capitoli: «Ogni capitolo buttato nel cestino del computer rappresentava
un carico superfluo di pensieri, di anni e di vita». Finché le pagine
cancellate diventano 999. Il libro adesso ha una sola pagina, ma: «L’ho
cancellata frase per frase, sillaba dopo sillaba, una lettera dopo l’altra.
Finché non sono arrivato all’ultima parola. Sono sceso per strada e l’ho
tracciata sul muro, a lettere cubitali […]. Oggi […] sono contento che da
qualche parte, su un muro della mia città natale, riposi la parola “io”».
Guarda Marco
Rossari che legge “L’ultima parola” cliccando qui
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