Fermenti religiosi nell'Italia del Duecento
Il
filone della poesia religiosa è stato tra i primi a svilupparsi
nell'ambito della letteratura volgare nell'Italia del XIII sec. e ciò
non solo perché lo spirito religioso ha sempre pervaso tutta la cultura
del Medioevo, ma soprattutto per il diffondersi di un'ansia di
rinnovamento spirituale e di riforma della Chiesa che ha caratterizzato
buona parte dell'Italia settentrionale e che ha avuto inizio già nel
sec. XII: la Chiesa era scossa da gravi problemi al suo interno come la simonia,
la vendita degli uffici sacri da parte delle alte gerarchie, e in
generale una diffusa corruzione dei suoi membri, che portarono alla
nascita di movimenti eretici che si opponevano in modo
più o meno radicale alla struttura ecclesiastica. Tra le eresie più
diffuse vi fu certamente il movimento dei Valdesi, dal
nome del mercante Valdo di Lione che lo fondò nel XII sec. e che
sosteneva il diritto di tutti i credenti di predicare la parola di Dio,
nonché un ideale di vita pauperistico che si opponeva alla ricchezza
della Curia papale (i Valdesi formarono comunità soprattutto nelle valli
alpine tra Savoia e Piemonte), mentre più radicali ancora furono i Càtari,
che a partire dalla Francia meridionale nel XII sec. predicarono una
visione dualistica dell'esistenza che divideva gli uomini in eletti (o
puri) e reprobi, organizzandosi in una gerarchia alternativa a quella
ecclesiastica. La reazione della Chiesa fu inizialmente di dura
repressione e papa Innocenzo III nel 1208 bandì una crociata contro gli Albigesi,
i càtari della città di Albi in Provenza che vennero debellati con
stragi indiscriminate (ciò segnò tra l'altro l'inizio del declino della
potenza dei feudatari provenzali e della cultura occitanica), mentre nel
1233 venne creato il Tribunale dell'Inquisizione, che
papa Gregorio IX affidò in seguito all'Ordine domenicano col compito di
processare gli eretici e stroncare così le velleità di rinnovamento
religioso. In seguito prevalse un atteggiamento più conciliante che
mirava a combattere le eresie anche sul piano dottrinale, con l'aiuto
dei frati predicatori (specialmente domenicani) che
dovevano diffondere la vera parola di Dio tra il popolo e affiancare i
monaci sino allora chiusi nei monasteri, mentre all'interno della Chiesa
nacque l'altro Ordine mendicante dei francescani, che
faceva proprie le istanze pauperistiche ed egualitarie dei movimenti di
protesta ma le portava avanti nel rispetto della gerarchia ufficiale. In
questo clima di fervore religioso diventava essenziale l'esigenza di
comunicare direttamente ai fedeli attraverso la parola (e non più, come
nell'Alto Medioevo, solo con le arti figurative), il che favorì la
diffusione di nuovi strumenti catechistici quali la predica, la lauda
drammatica e il poemetto di argomento religioso, che potevano rivolgersi
a un pubblico popolare di illetterati ma anche di lettori
medio-borghesi in grado di intendere un testo scritto.
Nuovi generi letterari: lauda e lauda drammatica
Tra i
generi letterari di argomento propriamente religioso che nascono e si
diffondono nell'Italia del Duecento spicca soprattutto la lauda,
nata probabilmente tra Toscana e Umbria nell'ambito del movimento dei
flagellanti (intorno al 1260) e fiorita poi fino al Quattrocento, anche
se un precedente illustre si può considerare il Cantico delle creature di S. Francesco,
forse il primo testo letterario italiano in volgare (si veda oltre).
In origine la lauda era una sorta di cantilena in lasse monorime che
cantava le lodi di Dio, della Vergine e dei santi, destinata a un
pubblico popolare di illetterati (gli abitanti dei Comuni e i membri del
ceto mercantile), cui il testo veniva recitato da attori girovaghi e
improvvisati (i giullari) o anche da frati predicatori. In questa forma
la lauda assunse poi la forma metrica della ballata e se ne fissò un
"canone" ad opera di alcuni autori significativi, tra cui soprattutto Jacopone da Todi che
contribuì a diffonderla dall'Umbria in buona parte dell'Italia centrale
e settentrionale. In seguito il genere si ampliò e nacque la cosiddetta
lauda drammatica, che proponeva un dialogo a più voci
tra alcuni personaggi in un particolare momento della liturgia cristiana
(specialmente la Passione di Cristo); non di rado vi era un
accompagnamento musicale e col passare del tempo la messa in scena
divenne via via più elaborata, sino a diventare un genere teatrale vero e
proprio che prese il nome di sacra rappresentazione,
in auge sino alla fine del Quattrocento (un teatro di argomento profano
non esisteva nel Medioevo e nacque solo in età umanistica). Questo tipo
di produzione poetica e teatrale in volgare assolveva anzitutto la
funzione di diffondere la parola di Dio tra i fedeli e combattere in
questo modo il propagarsi delle eresie, ma spesso i testi avevano una
indubbia dignità letteraria ed esprimevano la personalità inquieta e il
fervore mistico dei loro autori, come nel caso di Jacopone da Todi che
fu autore di quasi cento laude. Il volgare che veniva utilizzato era
soprattutto l'umbro, data l'area di primitiva
diffusione del genere, sia pure depurato dagli elementi più popolari e
con la frequente inserzione di latinismi e termini dottrinali.
Il poemetto didattico dell'Italia settentrionale
Destinato a un pubblico di lettori più colti e avente per oggetto insegnamenti di carattere religioso era invece il poemetto didattico,
un tipo di componimento assai vario che si diffuse inizialmente
nell'Italia settentrionale (soprattutto in Lombardia e in Veneto) e in
seguito anche in toscana, dove fiorì una ricca letteratura didascalica
non solo di tema sacro (anche la Commedia di Dante si può far rientrare in questa categoria). In Veneto fu attivo frate Giacomino da Verona (vissuto nella seconda metà del XIII sec.), autore di due poemetti in volgare veronese intitolati De Babilonia civitate infernali e De Ierusalem celesti,
dedicati rispettivamente alla descrizione dell'Inferno e del Paradiso:
la forma metrica è la quartina monorima di versi alessandrini (settenari
doppi, metro tratto probabilmente dalla tradizione giullaresca) e la
raffigurazione dei luoghi dell'Oltretomba è piuttosto popolare e
ingenua, con il Paradiso visto come una splendida città dalle mura
preziose e piena di luce, mentre l'Inferno è la sede di orrendi demoni e
mostri che torturano orribilmente i dannati.
Non è escluso che le operette fossero destinate a un pubblico di
illetterati attraverso la tradizione orale e certo dovettero godere di
una certa diffusione del Duecento, testimoniando tra l'altro
l'ossessione medievale per il diavolo come presenza costante nella vita
terrena e ultraterrena. Su un piano più elevato si colloca invece il lombardo Bonvesin da la Riva, vissuto anch'egli nel secondo Duecento e che fu doctor gramaticae,
nonché frate terziario dell'Ordine degli Umiliati: scrisse opere in
latino e in volgare lombardo, queste ultime dedicate anche ad argomenti
non religiosi come il poemetto De quinquaginta curialitatibus ad mensam, sorta di "galateo" sulle buone maniere da tenere a tavola. Più interessante è invece il Libro delle tre scritture,
di cui la "nera" riguarda l'Inferno, la "dorata" il Paradiso e la
"rossa" tratta della Passione di Cristo, con una tripartizione che
ricorda in parte quella dei due poemetti di Giacomino di cui riprende
anche la forma metrica (quartine monorime di alessandrini). Bonvesino
scrisse in lombardo anche delle Laudes in onore della Vergine Maria e varie disputationes
di carattere didattico-morale, ovvero delle discussioni tra figure
allegoriche (la rosa e la viola, la mosca e la formica...) che
anticipano la struttura di certe opere didascaliche del tardo Duecento,
come il Fiore.
San Francesco d'Assisi
Fondamentale nel fervore di rinnovamento religioso del Duecento è stata, in Italia, la figura di Francesco d'Assisi (1182-1226),
uno dei santi più venerati della cristianità e fondatore dell'Ordine
mendicante destinato a lasciare un'impronta duratura nella storia
medievale della Chiesa. Nato nella città umbra di Assisi e figlio di un
ricco mercante, dopo una gioventù spensierata partecipò a una battaglia
contro Perugia, venendo fatto prigioniero e maturando una profonda crisi
interiore; iniziò poi a vivere in povertà e a predicare l'ideale
evangelico, cosa che spinse il padre a citarlo davanti al Tribunale
episcopale di Assisi, occasione in cui Francesco si spogliò dei suoi
abiti rinunciando per sempre all'eredità paterna. Negli anni seguenti
raccolse intorno a sé un numero crescente di seguaci e iniziò a
formulare la sua Regola monastica basata sulla predicazione e
la povertà, ottenendo una prima approvazione da papa Innocenzo III nel
1210 (quella definitiva sarebbe arrivata con Onorio III nel 1223). Fu in
varie parti d'Italia e più volte in Terrasanta, dove nel 1219 tentò
senza successo di convertire il sultano al-Malik al Kāmil, quindi cercò
di comporre i dissidi interni alla sua comunità dove erano affluiti
personaggi assai eterogenei, mentre la Chiesa operava sapientemente per
assorbire la carica innovativa del messaggio francescano all'interno
della propria gerarchia, per neutralizzarne la portata rivoluzionaria.
Gli ultimi anni furono di sofferenze fisiche (era malato e semi-cieco) e
di devastanti esperienze mistiche, come le stimmate che apparvero sul
suo corpo durante la preghiera sul monte della Verna, nel 1224; morì due
anni dopo circondato dai suoi fratelli, cui affidò l'Ordine che aveva
fondato chiedendo di essere sepolto nudo nella nuda terra, in segno di
umiltà. La sua biografia si arricchì presto di elementi favolosi e
leggendari, venendogli attribuiti miracoli e imprese eccezionali, mentre
già nel XIV sec. fiorì una ricca "letteratura francescana" con gli Actus beati Francisci et sociorum eius (in latino e contenenti episodi della vita del santo e dei suoi primi seguaci) e in seguito con i Fioretti di S. Francesco (raccolta di aneddoti in volgare, anch'essa risalente ai primi del Trecento).
Il messaggio di Francesco non si espresse solo attraverso la predicazione, ma anche con vari testi letterari tra cui due Regole e vari scritti dottrinali in latino, mentre in volgare umbro è il famosissimo Cantico delle creature che costituisce probabilmente il primo esempio di opera letteraria in un volgare italiano: scritto nel 1224-26, è un primo esempio di "lauda" in cui il santo loda Dio attraverso tutti gli elementi del creato, con uno spirito di gloriosa contemplazione dell'opera del Creatore e un atteggiamento di serena accettazione della volontà divina che è parte di tutto il messaggio evangelico del suo autore. L'ultima parte contiene un riferimento alla malattie e alla "morte corporale" che sembra stonare con il resto del componimento, cosa che ha fatto supporre ad alcuni critici che gli ultimi versi siano stati aggiunti in seguito nell'imminenza della morte di Francesco, quando il suo fisico era minato dalla malattia (per ulteriori approfondimenti si veda il commento al testo).
La figura di S. Francesco è tuttora centrale nella spiritualità religiosa del Cristianesimo e ha suscitato un vivace dibattito critico già pochi anni dopo la sua morte, poiché l'Ordine da lui fondato fu presto scosso da polemiche interne e si divise tra gli "spirituali", propensi a un irrigidimento della sua Regola, e i "conventuali", inclini invece a una visione di essa più morbida; Dante nel Paradiso lo celebra insieme a S. Domenico presentando entrambi come i "campioni" incaricati di difendere la Chiesa, mentre S. Tommaso d'Aquino nel Canto XI ne fa il panegirico descrivendolo soprattutto come alter Christus ed esempio di povertà, trascurando i particolari più leggendari della sua biografia. In tempi più recenti il santo è stato oggetto di varie rivisitazioni cinematografiche, che l'hanno presentato talvolta come umile predicatore e "giullare di Dio", in altri casi come riformatore rivoluzionario capace di dare voce ai poveri, confermando senza dubbio la complessità di una figura solo apparentemente di facile lettura.
Il messaggio di Francesco non si espresse solo attraverso la predicazione, ma anche con vari testi letterari tra cui due Regole e vari scritti dottrinali in latino, mentre in volgare umbro è il famosissimo Cantico delle creature che costituisce probabilmente il primo esempio di opera letteraria in un volgare italiano: scritto nel 1224-26, è un primo esempio di "lauda" in cui il santo loda Dio attraverso tutti gli elementi del creato, con uno spirito di gloriosa contemplazione dell'opera del Creatore e un atteggiamento di serena accettazione della volontà divina che è parte di tutto il messaggio evangelico del suo autore. L'ultima parte contiene un riferimento alla malattie e alla "morte corporale" che sembra stonare con il resto del componimento, cosa che ha fatto supporre ad alcuni critici che gli ultimi versi siano stati aggiunti in seguito nell'imminenza della morte di Francesco, quando il suo fisico era minato dalla malattia (per ulteriori approfondimenti si veda il commento al testo).
La figura di S. Francesco è tuttora centrale nella spiritualità religiosa del Cristianesimo e ha suscitato un vivace dibattito critico già pochi anni dopo la sua morte, poiché l'Ordine da lui fondato fu presto scosso da polemiche interne e si divise tra gli "spirituali", propensi a un irrigidimento della sua Regola, e i "conventuali", inclini invece a una visione di essa più morbida; Dante nel Paradiso lo celebra insieme a S. Domenico presentando entrambi come i "campioni" incaricati di difendere la Chiesa, mentre S. Tommaso d'Aquino nel Canto XI ne fa il panegirico descrivendolo soprattutto come alter Christus ed esempio di povertà, trascurando i particolari più leggendari della sua biografia. In tempi più recenti il santo è stato oggetto di varie rivisitazioni cinematografiche, che l'hanno presentato talvolta come umile predicatore e "giullare di Dio", in altri casi come riformatore rivoluzionario capace di dare voce ai poveri, confermando senza dubbio la complessità di una figura solo apparentemente di facile lettura.
Jacopone da Todi
Personalità inquieta e per molti aspetti lontana da quella del santo di Assisi è invece Jacopone da Todi
(1236-1306), l'altro grande esponente della poesia religiosa del
Duecento: anche lui umbro, esercitò il mestiere di avvocato e si diede a
vita mondana, finché la morte in circostanze drammatiche della moglie
nel 1268 (la donna morì a causa di un crollo durante una festa e sul suo
corpo fu trovato un cilicio) lo indussero a convertirsi e a
intraprendere un percorso di penitenza, fino a entrare nei minoriti
francescani (1278). Divampavano allora i contrasti tra "spirituali" e
"conventuali" e Jacopone si schierò coi primi, dunque fu ostile a papa
Bonifacio VIII e fu tra i firmatari del manifesto di Lunghezza con cui
si deponeva il pontefice e si chiedeva la convocazione del Concilio
(1297); quando il papa espugnò la rocca di Palestrina, la fortezza dei
Colonna che proteggevano gli spirituali, Jacopone fu fatto prigioniero e
scomunicato, restando in carcere a Castel S. Pietro sino alla morte di
Bonifacio nel 1303. Il nuovo papa Benedetto XI lo liberò e revocò la
scomunica, dopo di che il frate si ritirò nel convento di S. Lorenzo a Collazzone, dove morì.
Fu autore di circa 90 "laude" certamente attribuibili a lui, testi poetici di argomento religioso in cui affronta vari temi, dalla condanna della vanità dei beni mondani e della corruzione della Curia papale, all'ardente amore per Cristo che provoca in lui una gioia indicibile, sino al disprezzo per il proprio corpo e la propria fisicità, augurandosi che Dio gli mandi i malanni più ripugnanti a espiazione dei suoi peccati. A lui si deve anche una "lauda drammatica" sulla Passione di Cristo e il dolore della Vergine, che ebbe notevole diffusione e influenzò non poco le sacre rappresentazioni dei secoli successivi, tema che affronta anche nello Stabat Mater attribuitogli non senza controversie (è una preghiera in latino sulla crocifissione di Gesù e il dolore di Maria ai piedi della croce). Le sue opere esprimono un misticismo esasperato e a tratti violento che sembra molto lontano dalla visione apparentemente serena e gioiosa di S. Francesco, benché i temi affrontati da Jacopone rientrino tutti nella mentalità medievale che esaltava la potenza di Dio a cospetto della nullità dell'uomo, mentre la mortificazione del corpo come "sentina di vizio" e di sporcizia è largamente diffusa nella letteratura del XIII-XIV sec., così come il desiderio di sofferenza attraverso cui scontare il peso del peccato originale. La lingua delle "laude" è il volgare umbro di S. Francesco, che anche in Jacopone mostra la commistione di termini popolari e latinismi, mentre la forma metrica dei testi è già più regolare e si allinea al "canone" delle laude quale viene stabilendosi nella poesia religiosa dell'Italia centrale nel tardo Duecento.
Fu autore di circa 90 "laude" certamente attribuibili a lui, testi poetici di argomento religioso in cui affronta vari temi, dalla condanna della vanità dei beni mondani e della corruzione della Curia papale, all'ardente amore per Cristo che provoca in lui una gioia indicibile, sino al disprezzo per il proprio corpo e la propria fisicità, augurandosi che Dio gli mandi i malanni più ripugnanti a espiazione dei suoi peccati. A lui si deve anche una "lauda drammatica" sulla Passione di Cristo e il dolore della Vergine, che ebbe notevole diffusione e influenzò non poco le sacre rappresentazioni dei secoli successivi, tema che affronta anche nello Stabat Mater attribuitogli non senza controversie (è una preghiera in latino sulla crocifissione di Gesù e il dolore di Maria ai piedi della croce). Le sue opere esprimono un misticismo esasperato e a tratti violento che sembra molto lontano dalla visione apparentemente serena e gioiosa di S. Francesco, benché i temi affrontati da Jacopone rientrino tutti nella mentalità medievale che esaltava la potenza di Dio a cospetto della nullità dell'uomo, mentre la mortificazione del corpo come "sentina di vizio" e di sporcizia è largamente diffusa nella letteratura del XIII-XIV sec., così come il desiderio di sofferenza attraverso cui scontare il peso del peccato originale. La lingua delle "laude" è il volgare umbro di S. Francesco, che anche in Jacopone mostra la commistione di termini popolari e latinismi, mentre la forma metrica dei testi è già più regolare e si allinea al "canone" delle laude quale viene stabilendosi nella poesia religiosa dell'Italia centrale nel tardo Duecento.
Il poema didattico-allegorico prima e dopo Dante
In
Toscana il genere del poemetto didattico assunse presto una forma più
elaborata rispetto alla letteratura settentrionale (da cui pure venne
influenzato) e si arricchì spesso di una struttura allegorica con cui,
sotto il mascheramento di un racconto favolistico o leggendario, si
affrontavano temi religiosi e più in generale si proponevano
insegnamenti in campo morale. Uno dei precursori di questo tipo di
letteratura fu Brunetto Latini (1220-1294), fiorentino e amico di Dante in gioventù, che fu autore di un poemetto in settenari a rima accoppiata intitolato Tesoretto (per distinguerlo dall'altra sua opera in lingua d'oïl, il Trésor):
l'opera è rimasta incompiuta e tratta in modo non sistematico vari
aspetti del sapere medievale, tra cui la creazione e il peccato
originale, la natura degli angeli, Lucifero, per poi narrare un viaggio
che porta l'autore ad apprendere il valore delle virtù e a confessare i
propri peccati. Il Tesoretto ha una struttura in parte simile alla Commedia di
Dante (dopo la rotta di Montaperti l'autore dice di essersi trovato in
una "selva diversa") ed è abbastanza certo che ne abbia influenzato la
composizione, specie se si considera che Dante rivolgerà un omaggio al
suo maestro defunto in Inf., XV, dove pure include Brunetto tra i sodomiti del settimo cerchio. In effetti la Commedia
ricalca lo stesso tipo di letteratura volta ad ammaestrare su vari
aspetti dello scibile raccontando un viaggio allegorico nell'Aldilà e
non c'è dubbio che il capolavoro dantesco costituisca l'esempio più alto
e complesso di poesia religiosa di inizio Trecento, per quanto l'opera
sia difficilmente inseribile in un genere specifico e tratti argomenti
non solo propriamente religiosi, come le scienze naturali, la politica,
la storia.
Risalgono alla fine del XIII sec. altri due poemetti didattici anonimi
scritti in volgare fiorentino, anche se non di argomento strettamente
religioso, vale a dire il Fiore (traduzione in 232 sonetti del Roman de la Rose, poema in lingua d'oïl risalente al primo Duecento) e l'Intelligenza,
operetta in nona rima che spiega in chiave allegorica il rapporto tra
il corpo e l'intelligenza umana, tutt'uno con l'intelligenza universale
(il Fiore è stato attribuito anche a Dante, pur con argomenti non molto convincenti).
Dopo Dante e lo straordinario successo della Commedia il modello offerto dall'opera ha influenzato vari scrittori e prodotto diversi poemetti che si ispiravano al capolavoro, anche se ben pochi fra essi hanno raggiunto grandi esiti letterari: l'imitazione dantesca è evidente nell'Amorosa visione di Boccaccio, poemetto in terzine (stesso metro della Commedia) in cui l'autore narra un proprio viaggio allegorico che si conclude con la celebrazione dell'amore sensuale e dunque già molto lontano dal modello, mentre Petrarca riprende il metro dantesco nei Trionfi (poemetto incompiuto) in cui descrive un percorso allegorico che dalla passione amorosa lo conduce sino a Dio, benché l'opera risulti piuttosto arida e poco riuscita. Più interessante è l'opera di Francesco Stabili, autore di inizio Trecento noto come Cecco d'Ascoli che si interessò di astrologia e magia, venne accusato di eresia e morì sul rogo nel 1327: in un poemetto scritto in sestine di endecasillabi e intitolato Acerba (il cui senso è poco chiaro) si parla di una donna angelica principio di virtù e si affrontano vari temi morali, tra cui i cieli, le intelligenze celesti, gli animali, le pietre, la fortuna, l'amore, i vizi e le virtù, in modo poco sistematico e caotico; è presente una forte polemica proprio contro Dante, trattato spregiativamente e accusato di aver fatto ricorso a "favole" e di aver cantato "a modo delle rane", atteggiamento che ha nuociuto alla fama di Cecco che venne presto dimenticato nei decenni successivi, anche a causa della sua morte come eretico.
Dopo Dante e lo straordinario successo della Commedia il modello offerto dall'opera ha influenzato vari scrittori e prodotto diversi poemetti che si ispiravano al capolavoro, anche se ben pochi fra essi hanno raggiunto grandi esiti letterari: l'imitazione dantesca è evidente nell'Amorosa visione di Boccaccio, poemetto in terzine (stesso metro della Commedia) in cui l'autore narra un proprio viaggio allegorico che si conclude con la celebrazione dell'amore sensuale e dunque già molto lontano dal modello, mentre Petrarca riprende il metro dantesco nei Trionfi (poemetto incompiuto) in cui descrive un percorso allegorico che dalla passione amorosa lo conduce sino a Dio, benché l'opera risulti piuttosto arida e poco riuscita. Più interessante è l'opera di Francesco Stabili, autore di inizio Trecento noto come Cecco d'Ascoli che si interessò di astrologia e magia, venne accusato di eresia e morì sul rogo nel 1327: in un poemetto scritto in sestine di endecasillabi e intitolato Acerba (il cui senso è poco chiaro) si parla di una donna angelica principio di virtù e si affrontano vari temi morali, tra cui i cieli, le intelligenze celesti, gli animali, le pietre, la fortuna, l'amore, i vizi e le virtù, in modo poco sistematico e caotico; è presente una forte polemica proprio contro Dante, trattato spregiativamente e accusato di aver fatto ricorso a "favole" e di aver cantato "a modo delle rane", atteggiamento che ha nuociuto alla fama di Cecco che venne presto dimenticato nei decenni successivi, anche a causa della sua morte come eretico.
La letteratura religiosa del Trecento
Nella
seconda metà del Trecento il genere del poema allegorico e, in generale,
tutto il filone della letteratura religiosa tende a esaurirsi, non
solo per la carenza di opere e scrittori significativi ma soprattutto
per l'emergere di una cultura già affine a quella umanistica e laica
del secolo seguente, di cui Boccaccio e Petrarca sono esponenti di
primo piano. Fanno eccezione alcune personalità di religiosi che
affrontano temi dottrinali nei loro scritti e fra questi merita di
essere ricordato il domenicano Jacopo Passavanti (1300-1357), autore di vari trattati in latino e di un'opera volgare intitolata Specchio della vera penitenza,
raccolta di considerazioni sulla penitenza corredata da molti esempi
tratti da vicende accadute a peccatori (la narrazione, vivace e
decisamente realistica, è stata accostata allo stile del Decameron di Boccaccio, da cui pure il testo è molto distante). Scrittore simile è fra Domenico Cavalca (1270-1342), domenicano anch'egli e autore delle Vite dei santi Padri (rielaborazione dell'opera latina dei primi secoli Vitae patrum), in cui mostra doti di narratore felice e ispirato con un certo gusto per l'aneddoto.
Su un piano artisticamente superiore si colloca la figura di S. Caterina da Siena (1347-1380), forse
la figura religiosa più importante dopo S. Francesco e che ebbe
relazioni con principi e papi, nonché con gli esponenti politici della
propria città: attivamente impegnata nell'assistenza ai poveri e ai
lebbrosi e partecipe di fortissime esperienze mistiche (ricevette anche
lei le stimmate), Caterina fu anche scrittrice e lasciò un Dialogo della Divina Provvidenza,
oltre a numerosissime lettere indirizzate ai più alti personaggi del
tempo e a cui la santa si rivolge con schiettezza, trattando temi
dottrinali con forte slancio mistico e una vivezza di immagini che a
volte ricorda il pathos di certe laude di Jacopone da Todi.
Giova ricordare che, se Francesco era stato il primo scrittore italiano
in volgare nel Duecento, Caterina è stata la prima scrittrice al
femminile della nostra letteratura ed è forse non casuale che entrambi
siano state figure di alta ispirazione religiosa (i due sono anche
compatroni d'Italia).
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