AMBITO STORICO-POLITICO
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Sviluppa
l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”,
utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti
e i dati forniti.
Se scegli
la forma del “saggio breve”, argomenta la tua trattazione, anche con opportuni
riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti
al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli
la forma dell’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo
di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato.
Per
entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio
protocollo.
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ARGOMENTO:
Il cavaliere medievale
Documento 1
[Un’analisi attuale della condizione dei
cavalieri in Francia tra XI e XII secolo]
In Francia era particolarmente sviluppata e forte la società
feudale. Il ceto dominante era un’aristocrazia di origine guerriera: principi,
conti, baroni avevano avuto i loro possedimenti (i feudi)
soprattutto in cambio di servizi militari, resi al sovrano o ai feudatari
maggiori. Ma col passare del tempo gli appartenenti all’antica nobiltà
divennero insufficienti per sopperire ai bisogni di guerre e faide continue e
si rese necessario il ricorso a nuove milizie. Il nerbo dell’esercito era costituito
da soldati a cavallo: questa nuova classe militare, che venne a integrare il
vecchio ceto feudale, fu dunque la cavalleria. Di essa vennero a far parte
i figli cadetti dell’antica classe nobiliare, esclusi dalla successione
ereditaria dei feudi, e gli appartenenti agli strati inferiori della nobiltà, che
non avevano mai posseduto dei feudi o li avevano perduti.
Ma almeno i tre quarti della cavalleria erano costituiti da gente
“nuova” (amministratori, scudieri, ecc.) spesso di origine servile, che
combatteva al seguito di un feudatario. Questi “compagni d’arme” del feudatario
potevano essere compensati solo con terre, data la scarsissima circolazione di
moneta: acquisendo questi possedimenti, i cavalieri furono di fatto elevati al
rango nobiliare. Alla fine del XII secolo, il nuovo ceto cavalleresco comincia
a divenire un ceto chiuso: l’accesso alla nobiltà viene di nuovo sbarrato e
possono divenire cavalieri solo figli di cavalieri. È per opera di questo ceto
che si forma l’ideale cavalleresco: sono i cavalieri che divengono gli
interpreti più intransigenti della visione della vita e dell’etica feudale che
informeranno poi tanta letteratura successiva. Questo fatto non deve
meravigliare: è consueto che i nuovi membri di un ceto privilegiato siano
quelli che ne propugnano con più rigore i princìpi.
Nasce così, per opera della cavalleria, un’autorappresentazione
idealizzata ed eroica della nobiltà feudale.
Documento 2
[Un testo del vescovo Gerardo di Cambrai
(975-1051): la divisione della società feudale in tre ordini]
Il nostro vescovo Gerardo [...] dimostrava questo: che
dall’origine stessa era stata imposta all’umanità una divisione in tre: uomini
che devono volgersi alla preghiera; uomini che devono piegarsi al lavoro dei
campi; infine, uomini che devono dedicarsi alla guerra. Non solo: dimostrava
poi con molta chiarezza che ogni categoria ha il preciso dovere di fornire
sostegno alle altre due. «Gli uomini di preghiera – diceva – sono liberi da
legami col mondo e si volgono interamente a Dio: ma sono debitori ai guerrieri
della sicurezza del loro santo raccoglimento; del pari, sono debitori ai
contadini del cibo che viene dal lavoro della terra. D’altra parte, i contadini
sono sostenuti nel cammino verso Dio dalle preghiere di quelli che i guerrieri
armati tutelano. Ma, allo stesso modo, i guerrieri ricevono il sostentamento
dai redditi della terra, da risorse e da tasse del commercio, mentre la santa
preghiera degli uomini pii, che essi difendono, impetra da Dio perdono per le
violenze commesse dalle loro armi. È dunque così che tutti ricevono da tutti
reciproco aiuto».
Le azioni che i guerrieri devono compiere non comportano colpa –
se è priva di peccato la loro anima – perché anche l’Antico Testamento attesta
che, per ordine di Dio, Abramo, Giosué e Davide scesero armati in battaglia;
nel tempo di grazia della Chiesa – madre nostra e sposa di Dio – sono i
sacerdoti a cingere di spada i sovrani.
Picascia, Hannover 1846
Documento 3
[Un passo tratto dal romanzo cavalleresco Ivano, di
Chrétien de Troyes (1135-1190)]
«Ora mi dovresti dire a tua volta che uomo sei, e cosa vuoi».
«Come vedi, sono un cavaliere che cerca ciò che non può trovare:
la mia ricerca è stata lunga, ma vana».
«E cosa vorresti trovare?».
«L’avventura, per misurare il mio valore e il mio coraggio. Ti
prego dunque, e ti domando vivamente, di indicarmi, se sai, un’avventura o una
meraviglia».
Milano 1983
Documento 4
[Il pensiero critico di Erich Auerbach
(1892-1957): i cavalieri nel romanzo cavalleresco e nella realtà]
Il mondo dell’affermazione cavalleresca è un mondo di avventure,
non solo nel senso che troviamo in esso una serie quasi ininterrotta di
avventure, ma anche nel senso che in esso non ci s’imbatte in nulla che non sia
il palcoscenico o la preparazione dell’avventura; è un mondo fatto apposta per
l’affermazione del cavaliere. La scena della partenza di Calogrenant1 lo
dimostra chiaramente. Egli cavalca tutto il giorno e incontra soltanto un
castello destinato alla sua accoglienza; nulla è detto delle condizioni
pratiche che rendono possibile l’esistenza d’un simile castello in piena
solitudine, conciliandola con l’esistenza comune. Un’idealizzazione simile
porta molto lontano dall’imitazione della realtà; nel romanzo cavalleresco è
taciuto il carattere funzionale, storicamente reale del ceto. Questo genere
poetico è ricco di notizie storiche sul costume e in genere sulla vita
esteriore, ma non approfondisce la realtà del proprio tempo, nemmeno quella del
ceto cavalleresco. [...] Tuttavia esso [il ceto cavalleresco] contiene un’etica
sociale che come tale riuscì a imporsi al mondo reale perché possiede un grande
fascino che si basa soprattutto su due qualità che lo distinguono: è assoluto,
al di sopra di ogni contingenza terrena, e a colui che gli è soggetto
conferisce il senso di appartenere a una comunità di eletti, a una cerchia di
solidarietà [...] distanziata dalla gran massa degli uomini. Di conseguenza
l’etica feudale, la concezione ideale del cavaliere perfetto, durò a lungo e fu
di grandissima efficacia. Le concezioni da lui inseparabili del valore
militare, dell’onore, della fedeltà, del rispetto reciproco, dei costumi
gentili e del culto della donna, esercitarono il loro fascino ancora su uomini
di epoche completamente diverse.
E.
Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad.
it. di A. Romagnoli, Einaudi, Torino 1956
1.
Calogrenant: uno dei cavalieri della corte di re Artù.
Documento 5
[Ramon Llull (1232-1316), filosofo e teologo
spagnolo: il rapporto tra il cavaliere e la religione]
Un cavaliere che abbia fede e non la usi e sia contrario a quelli
che sostengono la fede è paragonabile all’intelletto di un uomo a cui Dio abbia
dato la ragione e che usa il contrario della ragione. [...] Numerosi sono i
compiti che Dio ha stabilito in questo mondo per essere servito e onorato
dall’uomo, ma i compiti più nobili e onorati sono quelli del chierico e del
cavaliere; e per questo la maggior solidarietà esistente al mondo dovrebbe
essere quella tra cavalieri e chierici. Dunque, come i chierici non ricevono ordini
che siano in contrasto con la cavalleria, così i cavalieri non mantengono
l’ordine della cavalleria se sono contrari e disobbedienti ai chierici, i quali
sono obbligati ad amare e sostenere l’ordine della cavalleria.
R.
Llull, Livre de l’ordre de chevalerie, trad. it. A. D’Agostino, a
cura di V. Minervini, Adriatica, Bari 1972
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