Citazione

L'insegnamento non può fermarsi alle ore di lezioni in classe.

Compito del docente è quello di accompagnare gli allievi nella formazione della persona e ciò può essere possibile solo in un tempo dilatato, per un'educazione permanente (C.C.E., 2001).

Il concetto di educazione permanente indica che si apprende in differenti contesti formali, informali, e non formali: non solo a scuola, ma anche nella rete web.

giovedì 5 novembre 2015

IL CAVALIERE MEDIEVALE




AMBITO STORICO-POLITICO

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Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti.
Se scegli la forma del “saggio breve”, argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
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ARGOMENTO: Il cavaliere medievale


Documento 1
[Un’analisi attuale della condizione dei cavalieri in Francia tra XI e XII secolo]

In Francia era particolarmente sviluppata e forte la società feudale. Il ceto dominante era un’aristocrazia di origine guerriera: principi, conti, baroni avevano avuto i loro possedimenti (i feudi) soprattutto in cambio di servizi militari, resi al sovrano o ai feudatari maggiori. Ma col passare del tempo gli appartenenti all’antica nobiltà divennero insufficienti per sopperire ai bisogni di guerre e faide continue e si rese necessario il ricorso a nuove milizie. Il nerbo dell’esercito era costituito da soldati a cavallo: questa nuova classe militare, che venne a integrare il vecchio ceto feudale, fu dunque la cavalleria. Di essa vennero a far parte i figli cadetti dell’antica classe nobiliare, esclusi dalla successione ereditaria dei feudi, e gli appartenenti agli strati inferiori della nobiltà, che non avevano mai posseduto dei feudi o li avevano perduti.
Ma almeno i tre quarti della cavalleria erano costituiti da gente “nuova” (amministratori, scudieri, ecc.) spesso di origine servile, che combatteva al seguito di un feudatario. Questi “compagni d’arme” del feudatario potevano essere compensati solo con terre, data la scarsissima circolazione di moneta: acquisendo questi possedimenti, i cavalieri furono di fatto elevati al rango nobiliare. Alla fine del XII secolo, il nuovo ceto cavalleresco comincia a divenire un ceto chiuso: l’accesso alla nobiltà viene di nuovo sbarrato e possono divenire cavalieri solo figli di cavalieri. È per opera di questo ceto che si forma l’ideale cavalleresco: sono i cavalieri che divengono gli interpreti più intransigenti della visione della vita e dell’etica feudale che informeranno poi tanta letteratura successiva. Questo fatto non deve meravigliare: è consueto che i nuovi membri di un ceto privilegiato siano quelli che ne propugnano con più rigore i princìpi.
Nasce così, per opera della cavalleria, un’autorappresentazione idealizzata ed eroica della nobiltà feudale.

G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Il piacere dei testi. Dalle origini all’età comunale, Paravia, Torino 2012


Documento 2
[Un testo del vescovo Gerardo di Cambrai (975-1051): la divisione della società feudale in tre ordini]

Il nostro vescovo Gerardo [...] dimostrava questo: che dall’origine stessa era stata imposta all’umanità una divisione in tre: uomini che devono volgersi alla preghiera; uomini che devono piegarsi al lavoro dei campi; infine, uomini che devono dedicarsi alla guerra. Non solo: dimostrava poi con molta chiarezza che ogni categoria ha il preciso dovere di fornire sostegno alle altre due. «Gli uomini di preghiera – diceva – sono liberi da legami col mondo e si volgono interamente a Dio: ma sono debitori ai guerrieri della sicurezza del loro santo raccoglimento; del pari, sono debitori ai contadini del cibo che viene dal lavoro della terra. D’altra parte, i contadini sono sostenuti nel cammino verso Dio dalle preghiere di quelli che i guerrieri armati tutelano. Ma, allo stesso modo, i guerrieri ricevono il sostentamento dai redditi della terra, da risorse e da tasse del commercio, mentre la santa preghiera degli uomini pii, che essi difendono, impetra da Dio perdono per le violenze commesse dalle loro armi. È dunque così che tutti ricevono da tutti reciproco aiuto».
Le azioni che i guerrieri devono compiere non comportano colpa – se è priva di peccato la loro anima – perché anche l’Antico Testamento attesta che, per ordine di Dio, Abramo, Giosué e Davide scesero armati in battaglia; nel tempo di grazia della Chiesa – madre nostra e sposa di Dio – sono i sacerdoti a cingere di spada i sovrani.

Monumenta Germaniae Historica, vol. IX, Gesta Pontificorum Cameracensium, trad. it. M. L.
Picascia, Hannover 1846


Documento 3
[Un passo tratto dal romanzo cavalleresco Ivano, di Chrétien de Troyes (1135-1190)]

«Ora mi dovresti dire a tua volta che uomo sei, e cosa vuoi».
«Come vedi, sono un cavaliere che cerca ciò che non può trovare: la mia ricerca è stata lunga, ma vana».
«E cosa vorresti trovare?».
«L’avventura, per misurare il mio valore e il mio coraggio. Ti prego dunque, e ti domando vivamente, di indicarmi, se sai, un’avventura o una meraviglia».

Ch. de Troyes, Ivano, trad. it. di G. Agrati e M. L. Magini, in I romanzi cortesi, Mondadori,
Milano 1983


Documento 4
[Il pensiero critico di Erich Auerbach (1892-1957): i cavalieri nel romanzo cavalleresco e nella realtà]

Il mondo dell’affermazione cavalleresca è un mondo di avventure, non solo nel senso che troviamo in esso una serie quasi ininterrotta di avventure, ma anche nel senso che in esso non ci s’imbatte in nulla che non sia il palcoscenico o la preparazione dell’avventura; è un mondo fatto apposta per l’affermazione del cavaliere. La scena della partenza di Calogrenant1 lo dimostra chiaramente. Egli cavalca tutto il giorno e incontra soltanto un castello destinato alla sua accoglienza; nulla è detto delle condizioni pratiche che rendono possibile l’esistenza d’un simile castello in piena solitudine, conciliandola con l’esistenza comune. Un’idealizzazione simile porta molto lontano dall’imitazione della realtà; nel romanzo cavalleresco è taciuto il carattere funzionale, storicamente reale del ceto. Questo genere poetico è ricco di notizie storiche sul costume e in genere sulla vita esteriore, ma non approfondisce la realtà del proprio tempo, nemmeno quella del ceto cavalleresco. [...] Tuttavia esso [il ceto cavalleresco] contiene un’etica sociale che come tale riuscì a imporsi al mondo reale perché possiede un grande fascino che si basa soprattutto su due qualità che lo distinguono: è assoluto, al di sopra di ogni contingenza terrena, e a colui che gli è soggetto conferisce il senso di appartenere a una comunità di eletti, a una cerchia di solidarietà [...] distanziata dalla gran massa degli uomini. Di conseguenza l’etica feudale, la concezione ideale del cavaliere perfetto, durò a lungo e fu di grandissima efficacia. Le concezioni da lui inseparabili del valore militare, dell’onore, della fedeltà, del rispetto reciproco, dei costumi gentili e del culto della donna, esercitarono il loro fascino ancora su uomini di epoche completamente diverse.

E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad. it. di A. Romagnoli, Einaudi, Torino 1956

1. Calogrenant: uno dei cavalieri della corte di re Artù.


Documento 5
[Ramon Llull (1232-1316), filosofo e teologo spagnolo: il rapporto tra il cavaliere e la religione]

Un cavaliere che abbia fede e non la usi e sia contrario a quelli che sostengono la fede è paragonabile all’intelletto di un uomo a cui Dio abbia dato la ragione e che usa il contrario della ragione. [...] Numerosi sono i compiti che Dio ha stabilito in questo mondo per essere servito e onorato dall’uomo, ma i compiti più nobili e onorati sono quelli del chierico e del cavaliere; e per questo la maggior solidarietà esistente al mondo dovrebbe essere quella tra cavalieri e chierici. Dunque, come i chierici non ricevono ordini che siano in contrasto con la cavalleria, così i cavalieri non mantengono l’ordine della cavalleria se sono contrari e disobbedienti ai chierici, i quali sono obbligati ad amare e sostenere l’ordine della cavalleria.

R. Llull, Livre de l’ordre de chevalerie, trad. it. A. D’Agostino, a cura di V. Minervini, Adriatica, Bari 1972

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