Citazione

L'insegnamento non può fermarsi alle ore di lezioni in classe.

Compito del docente è quello di accompagnare gli allievi nella formazione della persona e ciò può essere possibile solo in un tempo dilatato, per un'educazione permanente (C.C.E., 2001).

Il concetto di educazione permanente indica che si apprende in differenti contesti formali, informali, e non formali: non solo a scuola, ma anche nella rete web.

giovedì 5 novembre 2015

UTOPIA, MAGIA, FOLLIA



CONSEGNE
 
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano. Interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.
4.  AMBITO  ARTISTICO-LETTERARIO
ARGOMENTO: UTOPIA, MAGIA, FOLLIA: tre dimensioni del desiderio rappresentate dall'immaginario collettivo e nella cultura di ogni tempo
 DOCUMENTO 1) Le città nell'isola di Utopia
« Chi conosce una sola città le conosce tutte, tanto sono simili tra loro ». Perciò — continua il narratore — mi limiterò a descrivere la capitale, Amauroto. Essa, secondo la tradizione fu fondata e disegnata da Utopo: sorge sul declivio di un'altura, cinta di alte mura, con frequenti torri e bastioni; è larga circa due miglia e attraversata dal fiume Anidro. Spaziose case si fronteggiano a lato delle ampie vie; hanno tutte una porta sulla strada, che s'apre con una semplice spinta e lascia entrare chi vuole, dal momento che non esiste la proprietà privata. Sul di dietro, ognuna ha un giardino, coltivato con grande cura e passione dagli abitanti, tanto che si bandiscono gare tra quartiere e quartiere per i giardini più belli. Gli abitanti si scambiano le case ogni dieci anni, tirando a sorte la loro destinazione.
Tommaso Moro, Delle città e specialmente di Amaruoto, da Utopia, 1516
Thomas More,  (Londra, 1478 – Londra, 1535 ), è stato un umanista, scrittore e politico inglese. Nel corso della sua vita si guadagnò fama a livello europeo come umanista e occupò numerose cariche pubbliche, compresa quella di Lord Cancelliere d'Inghilterra tra il 1529 e il 1532 sotto il re Enrico VIII. Fu cattolico fedele al Papa e il suo rifiuto di accettare l'Atto di Supremazia del re sulla Chiesa in Inghilterra mise fine alla sua carriera politica e lo condusse alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Tommaso Moro coniò il termine "utopia" ( etimologicamente "non luogo" ), con cui battezzò un'immaginaria isola dotata di una società ideale. Nella sua opera più famosa, L'Utopia, pubblicata nel 1516 egli descrive una società ideale ove la relazione tra gli uomini è del tutto positiva e non esiste proprietà privata. Il modello che intende contestare è quello dell'Inghilterra del primo Cinquecento dove era iniziato il fenomeno delle recinzioni dei campi che costringeva al vagabondaggio e alla miseria contadini e piccoli affittuari.
DOCUMENTO 2) Una moderna allegoria di Utopia e Verità
Utopia aveva una sorella maggiore
che si chiamava Verità senza errore;
lanciava spesso un aquilone nel vento
su cui era scritto libertà con l'accento.

Le due sorelle trascorrevano il tempo
senza fermarsi mai neppure un momento
avvinte sempre a quell' aquilone
senza sapere, sapere ragione.

Ma troppo deboli le braccia delle fate
e troppo fini quelle dita delicate
strappò la fune il forte vento quel giorno
e l'aquilone più non fece ritorno.
 Quell'incidente cancellò la magia
le due sorelle separaron la via,
Utopia andò per il mondo a cercare
e Verità già si pensava a sposare.
La Verità si sposava col Tempo
anche Utopia fu invitata all'evento,
"Non ti sposare resta libera che tedi
guarda che le parole son semi!"

"E parole sono semi hai ragione
ma per fiorire non è già la stagione".
"Il tuo non è un matrimonio d'affetto
ti peserà questa casa e quel letto."

Mentre Utopia andava via allegramente
perché vedeva il futuro presente
Verità a capo chino sussurrava
"Stai confondendo il desiderio e il destino".

E l'animo corse come fa un torrente
cambiando segno tra passato e presente,
Utopia ogni notte un uomo amava
ed all'alba lo abbandonava.
Per verità a quanto si dice
il matrimonio non fu mai felice
il Tempo non è un marito ideale
avaro vecchio ed anche brutale.
Ma in fondo in fondo qualcosa ne ha avuto
con tanti amanti lo ha reso cornuto
ed alla fine dell'infedeltà
ha avuto l'eredità.

Mentre Utopia che non ha un padrone
ne ha centomila senza alcuna ragione
resta da sempre a vagare nel prato,
ma l'aquilone non l'ha più trovato.
I Nomadi - Utopia ( 1987 )

DOCUMENTO 3) Il castello del mago Atlante
L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia
per Italia cercarla e per Lamagna,
per la nuova Castiglia e per la vecchia,
e poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa così, sente all'orecchia
una voce venir, che par che piagna:
si spinge inanzi; e sopra un gran destriero
trottar si vede innanzi un cavalliero,
5
che porta in braccio e su l'arcion davante
per forza una mestissima donzella.
Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante
di gran dolore; ed in soccorso appella
il valoroso principe d'Anglante;
che come mira alla giovane bella,
gli par colei, per cui la notte e il giorno
cercato Francia avea dentro e d'intorno.
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Non dico ch'ella fosse, ma parea
Angelica gentil ch'egli tant'ama.
Egli, che la sua donna e la sua dea
vede portar sì addolorata e grama,
spinto da l'ira e da la furia rea,
con voce orrenda il cavallier richiama;
richiama il cavalliero e gli minaccia,
e Brigliadoro a tutta briglia caccia.
7
Non resta quel fellon, né gli risponde,
all'alta preda, al gran guadagno intento,
e sì ratto ne va per quelle fronde,
che saria tardo a seguitarlo il vento.
L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde
selve s'odon sonar d'alto lamento.
Correndo usciro in un gran prato; e quello
avea nel mezzo un grande e ricco ostello.
8
Di vari marmi con suttil lavoro
edificato era il palazzo altiero.
Corse dentro alla porta messa d'oro
con la donzella in braccio il cavalliero.

Dopo non molto giunse Brigliadoro,
che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come è dentro, gli occhi gira;
né più il guerrier, né la donzella mira.
9
Subito smonta, e fulminando passa
dove più dentro il bel tetto s'alloggia:
corre di qua, corre di là, né lassa
che non vegga ogni camera, ogni loggia.
Poi che i segreti d'ogni stanza bassa
ha cerco invan, su per le scale poggia;
e non men perde anco a cercar di sopra,
che perdessi di sotto, il tempo e l'opra.
10
D'oro e di seta i letti ornati vede:
nulla de muri appar né de pareti;
che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
son da cortine ascose e da tapeti.
Di su di giù va il conte Orlando e riede;
né per questo può far gli occhi mai lieti
che riveggiano Angelica, o quel ladro
che n'ha portato il bel viso leggiadro.
11
E mentre or quinci or quindi invano il passo
movea, pien di travaglio e di pensieri,
Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso,
re Sacripante ed altri cavallieri
vi ritrovò, ch'andavano alto e basso,
né men facean di lui vani sentieri;
e si ramaricavan del malvagio
invisibil signor di quel palagio.
Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto XII
DOCUMENTO 4) La follia di Orlando
112
Fu allora per uscir del sentimento
sì tutto in preda del dolor si lassa.
Credete a chi n'ha fatto esperimento,
che questo è 'l duol che tutti gli altri passa.
Caduto gli era sopra il petto il mento,
la fronte priva di baldanza e bassa;
né poté aver (che 'l duol l'occupò tanto)
alle querele voce, o umore al pianto.
113
L'impetuosa doglia entro rimase,
che volea tutta uscir con troppa fretta.
Così veggiàn restar l'acqua nel vase,
che largo il ventre e la bocca abbia stretta;
che nel voltar che si fa in su la base,
l'umor che vorria uscir, tanto s'affretta,
e ne l'angusta via tanto s'intrica,
ch'a goccia a goccia fuore esce a fatica.
114
Poi ritorna in sé alquanto, e pensa come
possa esser che non sia la cosa vera:
che voglia alcun così infamare il nome
de la sua donna e crede e brama e spera,
o gravar lui d'insopportabil some
tanto di gelosia, che se ne pera;
ed abbia quel, sia chi si voglia stato,
molto la man di lei bene imitato.
(.....)
128
Non son, non sono io quel che paio in viso:
quel ch'era Orlando è morto ed è sotterra;
la sua donna ingratissima l'ha ucciso:
sì, mancando di fé, gli ha fatto guerra.
Io son lo spirto suo da lui diviso,
ch'in questo inferno tormentandosi erra,
acciò con l'ombra sia, che sola avanza,
esempio a chi in Amor pone speranza. -
129
Pel bosco errò tutta la notte il conte;
e allo spuntar de la diurna fiamma
lo tornò il suo destin sopra la fonte
dove Medoro isculse l'epigramma.
Veder l'ingiuria sua scritta nel monte
l'accese sì, ch'in lui non restò dramma
che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
né più indugiò, che trasse il brando fuore.
130
Tagliò lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo
a volo alzar fe' le minute schegge.
Infelice quell'antro, ed ogni stelo
in cui Medoro e Angelica si legge!
Così restar quel dì, ch'ombra né gielo
a pastor mai non daran più, né a gregge:
e quella fonte, già si chiara e pura,
da cotanta ira fu poco sicura;
131
che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
non cessò di gittar ne le bell'onde,
fin che da sommo ad imo sì turbolle
che non furo mai più chiare né monde.
E stanco al fin, e al fin di sudor molle,
poi che la lena vinta non risponde
allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira,
cade sul prato, e verso il ciel sospira.

132
Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,
e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir così si serba,
che 'l sole esce tre volte e torna sotto.
Di crescer non cessò la pena acerba,
che fuor del senno al fin l'ebbe condotto.
Il quarto dì, da gran furor commosso,
e maglie e piastre si stracciò di dosso.

133
Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo,
lontan gli arnesi, e più lontan l'usbergo:
l'arme sue tutte, in somma vi concludo,
avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
l'ispido ventre e tutto 'l petto e 'l tergo;
e cominciò la gran follia, sì orrenda,
che de la più non sarà mai ch'intenda.

134
In tanta rabbia, in tanto furor venne,
che rimase offuscato in ogni senso.
Di tor la spada in man non gli sovenne;
che fatte avria mirabil cose, penso.
Ma né quella, né scure, né bipenne
era bisogno al suo vigore immenso.
Quivi fe' ben de le sue prove eccelse,
ch'un alto pino al primo crollo svelse:

 DOCUMENTO 5)
LA PAZZIA LIBERA DAGLI AFFANNI
 Comunque di me parlino i mortali comunemente (e non ignoro quanta cattiva fama abbia la Follia fra i più folli) tuttavia io, io sola, dico, ecco  ho il dono di rallegrare gli Dèi e gli uomini. Non appena mi sono presentata per parlare a questa numerosa assemblea, di colpo tutti i volti si sono illuminati di non so quale insolita ilarità. D'improvviso le vostre fronti si sono spianate, e mi avete applaudito con una risata così lieta e amichevole che tutti voi qui presenti, da qualunque parte mi giri, mi sembrate ebbri del nettare misto a nepènte degli Dèi d'Omero, mentre prima sedevate cupi e ansiosi come se foste tornati allora dall'antro di Trofonio. Appena mi avete notata, avete cambiato subito faccia, come di solito avviene quando il primo sole mostra alla terra il suo aureo splendore, o quando, dopo un crudo inverno, all'inizio della primavera, spirano i dolci venti di Favonio, e tutte le cose mutando di colpo aspetto assumono nuovi colori e tornano a vivere visibilmente un'altra giovinezza. Così col mio solo presentarmi sono riuscita a ottenere subito quello che oratori, peraltro insigni, ottengono a stento con lunga e lungamente meditata orazione.
Erasmo da Rotterdam, L'elogio della follia ( 1509)
Nell' " Elogio della follia" la Follia celebra le sue glorie e dichiara di voler fare l'elogio di sé come dominatrice del mondo; tutti gli uomini infatti sono a Lei ubbidienti e tutti contribuiscono al suo successo perché essa domina ovunque: nell'amore, nella guerra, tra i teologi, tra i poeti, tra gli scienziati, tra i filosofi. Con questa impostazione l'opera diviene una paradossale satira di ogni manifestazione dell'attività umana. La Pazzia infatti è l'illusione, la menzogna di cui la vita dell'uomo si ammanta per nascondere la sua cruda realtà, ma il principale obiettivo della polemica è costituito dal clero e dallo stato della Chiesa. Devozioni degne di riso sono per Erasmo l'accendere candele dinanzi ad immagini in pieno giorno o intraprendere peregrinazioni in luoghi dove nessun motivo plausibile spinge ad andare.  L'Elogio si chiude ricordando il proverbio che: " spesso anche l'uomo pazzo parla giudiziosamente", mentre, in qualche misura, tutti si agisce da folli nella vita.
DOCUMENTO 2) Due rappresentazioni iconografiche della follia
Giovanni Boulanger, Orlando impazzito per amore, 1650-1652   
 
Hieronymus Bosch, La nave dei folli, 1502

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