Introduzione
E’ innanzitutto necessario precisare che in
nessun altro genocidio avvenuto durante il XX° secolo
le circostanze hanno attribuito all’arte e all’estetica un ruolo tanto
importante nella definizione delle vittime, come durante l’Olocausto .
Durante tale periodo, gli artisti chiusi nei
ghetti e nei campi di concentramento produssero arte come strumento di memoria
visiva .
Dopo l’Olocausto, fino ad oggi, gli artisti
hanno perseverato nel tentativo di affrontare il tema, per testimoniare,
confermare o elaborare l’evento, e ciò per via di un rapporto personale con il
tipo di trauma rappresentato dall’Olocausto.
La PITTURA
Tuttavia l’arte, in particolare la pittura
che contiene un riferimento pedagogico specifico all’Olocausto, raramente si
trova nei musei. Si potrebbe dire che i musei provano una particolare
avversione per qualsiasi mostra d’arte o singolo artista la cui opera tenti di
raffigurare o rappresentare esplicitamente eventi o epoche storiche .
Tanto è vero che i temi che riguardano
l’Olocausto sono più visibili in monumenti e opere commemorative pubbliche che
nei musei, infatti i curatori delle gallerie trovano poco opportuno presentare
opere d’arte legate allo sterminio degli ebrei per il loro basso potenziale di
vendita .
Sicuramente la riproduzione totalmente fedele
alle vicende di tale fatto storico non è possibile, ma neppure il silenzio è
una risposta adeguata . Inoltre l’arte non è in grado di narrare tutta la
storia dell’Olocausto, anche se i frammenti della storia trasmessi dalle
immagini possono assolvere a un compito ancora più importante ai fini della
testimonianza storica e della rappresentazione artistica .
Nel dopoguerra l’arte diventò un modo per
rappresentare la persecuzione, per reagire ad essa e per commemorarla: divenne,
cioè, una delle eredità dell’Olocausto.
E’ così che sulla questione della distruzione
degli ebrei sono state realizzate numerose opere che testimoniano e nello
stesso tempo meditano sulla
memoria dell’evento .
Un’eredità artistica ci è stata lasciata sia
dalle vittime ebree sia da quelle non ebree, in entrambi i casi comunque è
testimoniata la loro condizione di estrema sofferenza .
L’icona dei tanti dipinti che descrivono le
condizioni degli ebrei prima del 1939 rimane la“CROCIFISSIONE BIANCA” di MARC CHAGALL
Le immagini di Cristo che egli dipinge sono decisamente ebraiche, come se volesse testimoniare al mondo cristiano quali furono gli oggetti dell’aggressione nazista. Successivamente Chagall dipinse anche una “CROCIFISSIONE GIALLA” e inoltre immagini di ebrei che gridano aiuto, villaggi in fiamme, vittime che fuggono…
Dopo l’inizio dell’Olocausto la risposta alla
sofferenza delle vittime fu proprio la creazione di opere d’arte come
conseguenza delle inaudite condizioni della loro prigionia, dell’uso degli
artisti da parte dei nazisti ai fini della propaganda, e della conseguente
creazione di ricordi visivi da parte degli stessi artisti sulle condizioni dei
campi e dei ghetti .Tali opere testimoniano certune condizioni di vita,
esperienze e sofferenze quotidiane che neanche le fotografie potrebbero
riportare.
Fra gli artisti più prolifici dell’Olocausto
vi è Charlotte Salomon, una ragazza di venticinque anni che lasciò più di 1000
guazzi realizzati tra il 1941 e il 1942, quando viveva in clandestinità a
Nizza, prima di essere deportata ad Auschwitz. La serie di immagini della Salomon è intitolata “DIARIO IN FIGURE”.
Possono essere ricordati altri artisti
“dell’Olocausto”, quali:
FELIX NUSSBAUM, che era un importante
esponente dell’espressionismo prima della guerra.Gli
autoritratti eseguiti tra il 1943 e il 1944, prima della deportazione finale ad
Auschwitz, mostrano paura, disprezzo e disperazione .
Fra questi “AUTORITRATTO CON CARTA D’IDENTITA’” del 1943 è divenuto un’icona
più volte riprodotta come simbolo dell’Olocausto. Nussbaum,
deportato con l’ultimo convoglio partito dal Belgio per Auschwitz,
ha lasciato uno straordinario repertorio di testimonianze visive riguardo la
propria persecuzione.
DAVID OLERE, che fu internato ad Auschwitz, dove divenne membro dei Sonderkommando,
sopravvisse e dipinse ciò che aveva subito come avrebbe potuto fare se avesse
avuto a disposizione una macchina fotografica . Nell’opera di Olere non vi è nulla di sentimentale o di sacralizzante: lo spettatore è posto di fronte alla verità
essenziale della memoria visiva. Tanto è vero che le sue opere acquistarono una
tale importanza da essere utilizzate nei processi del dopoguerra ai nazisti.
Particolarmente affidabili furono ritenute le sue immagini delle colonne di gassazione nel Crematorio II e della vita quotidiana del Sonderkommando.
LAZAR SEGALL, anch’egli dipinse le
proprie impressioni degli eventi che in seguito avrebbero preso il nome di
Olocausto, cosi’ come YANKEL ADLER e BEN SHAHN .
Invece immagini di ciò che fu trovato
all’interno dei campi di concentramento alla fine della Seconda guerra mondiale,
furono realizzate da artisti che facevano parte dell’esercito sovietico.
Nell’immediato dopoguerra anche i
sopravvissuti iniziarono a disegnare le proprie esperienze; molti di essi
raggiunsero la fama artistica autonomamente e scelsero, occasionalmente o
costantemente, di utilizzare il mezzo visivo piuttosto che quello scritto per
esprimere la loro memoria dell’Olocausto.
(HANNELORE
BARON, MAREK OBERLANDER, JANUSZ STERN, ISAAC CELNIKIER, ALICE CAHANA, WALTER
SPITZER...) .
Degno di particolare attenzione è JOSEF
SZAJNA, prigioniero politico ad Auschwitz e Buhenwald, che realizzò disegni che sopravvissero alla
distruzione e che costituiscono importanti memorie visive del campo. Dopo la
fine della guerra, Szajna continuò ad occuparsi di Auschwitz e utilizzò tale parola al posto della parola
“Olocausto” per descrivere le sue esperienze da prigioniero polacco. Si
potrebbe dire che questo uso del nome “Auschwitz” è
il modo in cui l’artista universalizza il significato di questo luogo di
genocidio costruito dai tedeschi in suolo polacco, piuttosto che una pura
riflessione sulla percezione ebraica attraverso la parola Olocausto . L’opera
più importante di Szajna fu “REMINISCENZE”, il cui
fulcro era una serie di ritagli che evocavano le fotografie frontali scattate
ai prigionieri di Auschwitz I-Oswiecim
.
E’ importante precisare che questo artista
vede l’esperienza di Auschwitz non da polacco, e
sicuramente non da una prospettiva ebraica, ma in termini universali: riconosce
e comprende la particolare condizione degli ebrei nei campi in quanto vittime .
Dopo la Seconda guerra mondiale ci fu anche chi, come
THEODOR ADORNO, proclamò che era impossibile scrivere poesia e quindi creare
arte, dopo Auschwitz . In effetti il tema delle
deportazioni e dei genocidi apparve raramente, fatta eccezione per la
costruzione di monumenti commemorativi pubblici dei luoghi della distruzione.
Tuttavia, dalla fine degli anni Quaranta fino
all’inizio del XXI secolo, vi sono state migliaia di artisti, di ogni
continente, che hanno mostrato sensibilità nei confronti di questo argomento,
nello sforzo di cimentarsi con i problemi dell’arte dopo un tale mostruoso
periodo di distruzione .
Un filone significativo che si è sviluppato è
quello dei “TABU’”, in particolare la questione del fare arte e della
rappresentazione dell’Olocausto da parte di quelli che non c’erano .
Tra gli artisti del dopoguerra ricordiamo:
HENRY KOERNER, RICO LEBRUN, LEONARD BASKIN, BARNETT NEWMAN, MARK ROTHKO, FRANK STELLA,
MAURICIO LASANSKY e LEON GOLUB che fu uno dei tanti artisti che reagirono
immediatamente all’Olocausto, tentando appunto di affrontare l’argomento con
gli strumenti dell’arte .
Paradossalmente invece l’uso delle
fotografie, come parte integrante dell’arte sull’Olocausto, sembra avere ben
pochi seguaci in Europa .
Soffermandosi sulla questione del “tabù” ci
si può chiedere come mai gli artisti contemporanei creino opere sull’Olocausto
. Uno dei motivi è la
TESTIMONIANZA o l’AFFERMAZIONE dell’evento attraverso la
ripetizione del tema in forma diversa, ossia attraverso la propria arte .
Un’altra ragione può essere definita
“elaborazione del passato” nell’unica modalità che gli artisti conoscono:
quella visiva. Una terza possibilità è l’idea che l’arte possa offrire
intuizioni nuove, che sfuggono agli storici.
Negli anni Settanta l’Olocausto è comunque
divenuto un argomento più familiare nella vita americana e nella memoria
europea:gli artisti (dagli scrittori agli scultori) iniziarono ad affrontare
tale argomento. Anche i non ebrei elaborarono un’ampia gamma di risposte, che
tuttavia mancavano forse dell’intensità e dell’impegno dimostrati dagli ebrei
nei confronti dell’argomento .
Sicuramente da menzionare sono i dipinti di
KITAJ in relazione al campo di concentramento di Auschwitz:
fra il1975 e il 1976 tale artista dipinse quella che forse è la sua opera più
significativa, una grande tela ad olio intitolata “IF NOT, NOT”
Il paesaggio dipinto in quest’opera, con edificio d’ingresso di Auschwitz-Birkenau che torreggia sulla parte sinistra del quadro, è l’emblema dello spazio della diaspora, in quanto non è la terra degli ebrei. La struttura del quadro è così composta: in cima troviamo le baracche delle SS ad Auschwitz-Birkenau, in primo piano l’immagine di un camino, a sinistra forme astratte, quasi figurative, che potrebbero rappresentare persone, e infine, a destra, un cielo arancio-infuocato e fumo.
In Europa, i due artisti forse più celebri la
cui opera allude all’Olocausto sono CHRISTIAN BOLTANSKI e ANSELM KIEFER .
Anche lo stato di Israele è un immenso
deposito della memoria dell’Olocausto: Israele può essere considerata il più
vasto museo di sculture e monumenti su tale argomento .
Possiamo infine formulare la domanda ultima
sull’arte dell’Olocausto:il suo compito deve essere solo quello di provocare
dolore, di rimembrare l’assenza e la perdita? La risposta è che sicuramente non
è un’arte che possa dilettare, tuttavia spesso solo l’arte riesce a ottenere il
massimo impatto e a suscitare le riflessioni più alte. Allo stesso tempo
esistono limiti universalmente accettati, e parecchie trasgressioni artistiche
coerenti e mirate, che nello sforzo di ottenere un impatto traumatico, hanno
finito per diventare banali non appena si esauriva il loro effetto shock o
venivano superate da opere che erano talmente ambigue da autoneutralizzarsi
.
N.B:
In questa piccola ricerca verrà rivolta una
particolare attenzione ad alcuni pittori, quali:
●KOSCIELNIAK (museo di Auschwitz)
●WLADYSLAW SIWEK (museo di Auschwitz)
●ALDO CARPI
●SALVATORE MESSINA
●VAN RIBACK (tabetica dello STETL e
pittura yddish)
●DAVID OLERE
Di tali pittori verrà fatta una piccola
introduzione biografica e verranno analizzate alcune loro opere…
FOTOGRAFIA
e TEMATICA DELLA POSTMEMORIA
In “STORIA DELLA SHOAH”, Marianne
Hirsch afferma innanzitutto che, nonostante
l’Olocausto sia uno degli avvenimenti più ricchi di testimonianze visive (quali
fotografie), tuttavia l’attuale panorama della rappresentazione accademica e
popolare di tale evento e gli eventi organizzati per commemorarlo presentano
una visibile ripetizione di poche immagini molto note, utilizzate di continuo
come icone ed emblemi per ricordare quei fatti mostruosi .
I nazisti documentarono con estrema efficacia
la loro ascesa al potere e le atrocità commesse:
◦ le guardie spesso scattavano
fotografie ufficiali ai detenuti al momento dell’incarcerazione e ne
documentavano la successiva eliminazione,
◦ i soldati portavano spesso con loro
telecamere personali per filmare i ghetti e i campi in cui prestavano servizio,
◦ gli alleati, al momento della
liberazione, fotografarono e filmarono l’apertura dei campi e i processi
avvenuti nel dopoguerra .
Pochissime di queste fotografie sono state
scattate dalle vittime, tra le quali ricordiamo le incredibili foto clandestine
scattate da Mendel Grossman
insieme a quelle sfuocate e quasi illeggibili di roghi ed esecuzioni scattate
dai membri della resistenza di Auschwitz .
Riguardo la fotografia sull’Olocausto gli
interrogativi e le problematiche principali sono:
- perché la cultura visiva dell’Olocausto, e
quindi la nostra opportunità di comprenderlo d aun
punto di vista storico, è stata limitata in maniera così radicale proponendo
poche e ripetitive immagini, nonostante le innumerevoli immagini disponibili su
quel periodo?
- tali fotografie creano solo dolore e
ferite, o lasciano anche spazio alla memoria e alla rielaborazione? Oppure la
loro riproposta è solo l’effetto di una ripetizione malinconica?
Marianne Hirsch risponde
affermando che la post-memoria costituisce un modello di lettura sia
dell’evidente fenomeno della ripetizione sia delle stesse immagini canonizzate
. La Hirsch
si propone di dimostrare che per coloro che fanno parte della generazione
successiva, che sono consapevoli che la loro memoria non è costituita da eventi
ma da rappresentazioni, la ripetizione non ha avuto la funzione di renderli
assuefatti all’orrore, rendendo cosi’ necessaria una
dose sempre più massiccia di immagini raccapriccianti..L’insistita
ripetizione crea, al contrario, un legame tra le due generazioni, riproducendo
e non evitando quell’effetto traumatico vissuto
invece in maniera molto più diretta da parte dei sopravvissuti e dei testimoni
diretti come una ripetizione compulsava .
La post-memoria descrive il rapporto dei
figli di coloro che sono sopravvissuti a un evento traumatico con le esperienze
dei genitori, esperienze di cui hanno memoria solo grazie alle storie e alle
immagini con cui sono cresciuti e che possiedono una forza talmente potente da
trasformarsi in ricordi veri e propri .
Per quanto riguarda le immagini ripetute
dell’Olocausto, esse possono essere viste come figure che aiutano a ricordare o
a dimenticare e fanno parte di un tentativo intergenerazionale di ricostruzione
e cura . Inoltre una foto assurge al ruolo di prova, le immagini materializzano
la memoria .
Questo legame tra fotografia e memoria del
corpo o dei sensi potrebbe essere la spiegazione del potere che hanno le
fotografie di creare un legame tra gli individui della prima e della seconda
generazione, in un indefinibile reciprocità che scavalca il baratro creato
dallo sterminio genocidi .
Comunque, bisogna riconoscere che, per quanto
pregne d’orrore possano essere le immagini dell’Olocausto, non potranno mai
avere la pretesa di rappresentare , di potersi paragonare, al crimine che
apparentemente descrivono .
Ricordiamo ora alcune delle immagini iconiche
utilizzate per rappresentare e commemorare l’Olocausto .
1- L’entrata di Auschwitz
I con il motto “ARBEIT MACHT FREI” e il suo imponente cancello in ferro .
2- Il posto principale di guardia di Auschwitz II-Birkenau, inquadrato
appena da lontano insieme a tre binari che arrivano fino all’entrata e con in
primo piano scodelle, tegami e altri oggetti personali coperti di neve .
3- Le torrette d’avvistamento del campo
collegate da filo spinato e riflettori .
4- I bulldozer che spostano i corpi dentro
enormi fosse comuni .
Esistono poi le foto scattate dai liberatori,
che raffigurano enormi distese di corpi seppelliti o spostati dai bulldozer.
Tali immagini mostrano, forse meglio di quanto possano fare le statistiche, la
reale portata della distruzione, quella moltiplicazione delle vittime che
trasforma i loro corpi in quelli che i nazisti chiamavano stucke,
ossia “pezzi” .
Il vero compito della post-memoria diventa
quindi quello di riaprire nuovamente le fosse, scoprire tutti gli strati di
oblio, riportare alla luce i crimini nascosti e cercare di capire quello che
queste immagini riescono a svelare e, insieme, a celare alla vista .
La fotografia, di conseguenza, nel suo
rapporto con la perdita e con la morte, non filtra la memoria individuale e
collettiva ma fa rivivere il ciò che fu come un fantasma senza pace,
sottolineandone al tempo stesso la condizione di passato immutabile, irreversibile
e ormai irrecuperabile . L’incontro con la fotografia è l’incontro tra due
presenti, uno dei quali, ormai passato, può essere resuscitato dall’atto del
guardare .
Quindi le fotografie dell’Olocausto collegano
passato e presente attraverso l’ “esserci stato” dell’immagine fotografica,
sono messaggere di un tempo di orrore che non è ancora abbastanza lontano .
Esposti come sono alla ripetizione delle stesse immagini, gli spettatori che
attingono alla post-memoria sono in grado di riprodurre in loro stessi gli
effetti della riproposta del trauma che affligge le vittime di eventi terribili
.
FUMETTO
Il fumetto da noi preso in considerazione, e
del quale verranno riportate alcune sequenze nelle pagine successive, è “MAUS”
di ART SPIEGELMAN .
In questo fumetto sono riproposte quasi tutte
le immagini più ricorrenti dell’Olocausto: i due cancelli di Auschwitz, le torrette di guardia, i liberatori, le fosse
comuni . Queste immagini, nell’opera di Spiegelman,
rappresentano la memoria stessa .
L’autore riproduce in questo fumetto molte
fotografie ormai entrate di diritto nel nostro immaginario .
Nonostante ciò, MAUS effettua comunque
un’inversione di tendenza: l’opera riproduce infatti anche numerose immagini
anche molto meno famose, ricordandoci che esiste un archivio enorme di
fotografie, disegni, documenti e mappe non conosciute ai più .
DISEGNI E PITTURA
Figura 1 Auschwitz I : prigionieri che vanno a lavorare uscendo dal cancello del campo che porta la scritta : "il lavoro rende liberi" |
Figura 3 Prigioniero morente e SS che si allontana . |
Figura 2 Auschwitz II-Birkenau : baracche in legno . |
WLADYSLAW SIWEK
http://www.liceogioia.it/EspDidattiche/Multimedia/AUSCHWITZ/Percorsi_di_Approfondimento/Milani/Auschwitz_nelle_arti_figurative.htm
http://www.yadvashem.org/yv/en/pressroom/subscribe.asp
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