Destinatari: studenti di Scuola Secondaria di Secondo Grado
Tempi: 2/3 ore circa.
Testi utilizzati:
- Primo Levi: Shema
- Anna Segre: Per Ida .Non credo alla salvezza dei carnefici
- Paul Celan: Salmo
- Pavel Friedman: La farfalla
- Wislawa Szymborska: Ogni caso
- Dan Pagis: Scritto a matita in un vagone piombato
- Martin Niemoller: Prima sono venuti per gli Ebrei
Introduzione
Questa unità didattica è una risorsa interdisciplinare per
l'insegnamento della Shoah: consiste nell'utilizzo di alcuni testi poetici, da
immagini e testimonianze filmate. L'approccio interdisciplinare tra poesia ,
pittura e immagine apre percorsi alternativi consentendo ai lettori di
applicare differenti capacità nel misurarsi col materiale proposto.
- Approfondire lo studio della Shoah attraverso la poesia
- Affrontare l'universalità degli insegnamenti che si possono trarre dalla Shoah
- Sollecitare gli studenti ad esprimersi con l'arte
L'idea di usare la poesia per studiare la Shoah deriva dalla
convinzione che un contributo personale, quale è un testo poetico, possa essere
talvolta più efficace di un contenuto storico nell' attivare l'interesse
iniziale negli studenti; le poesie hanno un punto di vista interno, al loro
centro sta la dimensione umana e questo può generare un’attenzione più
immediata di quella prodotta dall'impersonalità del racconto storico.
Metodologia
I testi proposti possono essere affrontati a grande gruppo
sotto la guida dell'insegnante, ma anche affidati agli studenti che li leggono
e analizzano in piccolo gruppo e poi li illustrano al grande gruppo, fornendo
le loro riflessioni e sollecitando commenti.
L'attività, seguita ad un inquadramento storico della Shoah,
può servire a facilitare la partecipazione diretta degli studenti, evitando una
fruizione passiva delle lezioni di Storia.
I suggerimenti per l'analisi che vengono forniti in questa
unità possono essere solo lo spunto per altre intuizioni e interpretazioni da
parte dei ragazzi.
La scelta dei testi di questa unità copre un lungo lasso di
tempo che va da prima a durante e dopo la Shoah, ma non forma un quadro
completo del fenomeno storico; i testi sono piuttosto come tessere di un
complesso mosaico che raffigurano parti diverse dell'insieme; non sono
collegati né interdipendenti tra loro anche se, studiandoli in modo
approfondito, si possono cogliere relazioni tra alcuni di essi.
SHEMA
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi, "Se questo è
un uomo", Torino, Einaudi, 2005
Suggerimenti per l'insegnante
Il testo si divide in 3 parti: la descrizione della Shoah è
incuneata tra l'immagine della vita confortevole e normale del dopoguerra e il
severo monito degli ultimi versi.
- L'ultimo verso cita la parte centrale di una preghiera della liturgia ebraica (versi 3.6) ed il titolo della poesia, Shema, è anche la prima parola della preghiera e significa ”ascolta”; la parafrasi che Levi fa dei 4 versi della preghiera fa da sfondo al potente monito alle future generazioni perché educhino i loro figli alla lezione che ci può insegnare la Shoah.
- La durezza della minaccia racchiusa nei tre versi finali scritti durante il primo anno dopo la liberazione da Auschwitz suggerisce le emozioni che sono in gioco , forse è l'espressione del bisogno di trasformare le terribili esperienze in qualcosa di positivo per le future generazioni.
La poesia si trova all’inizio del celebre romanzo di Primo
Levi “Se questo è un uomo” (che narra la terribile esperienza
dell’autore, internato nel campo di sterminio di Auschwitz) e ne costituisce,
in un certo qual modo, l’introduzione e la chiave di lettura.
Il testo si compone di 23 versi liberi che presentano una
fortissima efficacia espressiva.
Nella prima parte della poesia (vv. 1-4) l’autore si rivolge
agli uomini che non hanno subito l’esperienza tragica della guerra e
dell’olocausto; agli uomini che “vivono sicuri nelle loro case e possono godere
del cibo e degli amici” cioè di tutti quei bisogni primari che ognuno di noi
reputa essenziali e scontati.
Segue (vv. 5-15) una sintetica, ma cruda presentazione della
condizione degli internati nei campi di sterminio, uomini o donne. Il poeta
invita il lettore a meditare sulla terribile condizione disumana alla quale
furono costretti coloro che il nazismo riteneva esseri destinati
all’annientamento: uomini sfruttati fino all’esaurimento fisico e psicologico,
obbligati ad umiliarsi e a perdere la loro dignità, sottoposti a ordini
assurdi, e all’incertezza di una morte determinata da un sì o da un no.
Parallelamente donne ridotte ad animali, senza capelli, senza nome, senza più
neppure la caratterizzazione di femminilità e di maternità.
La terza parte della poesia (vv. 16-20) è un ordine che Levi
dà a tutti gli uomini, quello di ricordare queste cose, di parlarne con i
propri figli, di scriverle nel proprio cuore per non dimenticarle. Le parole
ricalcano, quasi interamente, il precetto del Decalogo secondo la versione di
Deuteronomio 6, 6-7 “Questi precetti che oggi ti do ti stiano fissi
nel cuore, li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa
tua …” il che li rende più solenni e conferisce loro una valenza religiosa.
L’ultima parte del componimento (vv. 21-23) è una vera e
propria imprecazione nei confronti di coloro che non avranno seguito
l’ammonimento; Levi invoca per costoro una sorta di maledizione, augurandosi
che la loro casa sia distrutta, che la malattia li colpisca, e che i loro figli
li rinneghino. Il tutto assume, data la solennità del contesto, una valenza
quasi religiosa e sembra rifarsi alle maledizioni bibliche (ad esempio le
piaghe dell’Egitto).
Sicuramente l’importanza di quanto accadde e la gravità di
quei fatti, decisamente atroci e certamente irripetibili, impone all’uomo di
ogni epoca una riflessione attenta ed una meditazione profonda sul rischio che
corre l’Umanità, laddove vengano smarrite le più elementari regole del rispetto
della dignità della persona.
Dal punto di vista stilistico, il testo è ricco di figure
retoriche, che hanno lo scopo di dare maggiore espressività ai concetti
esposti. Possiamo notare:
- l’anafora (ripetizione di termini ad inizio verso): “Voi che … Voi che; Che … Che … Che ; Senza … Senza”
- la similitudine “Come una rana d’inverno”
- la metafora “Scolpitele nel vostro cuore”
Il pregio di questa poesia, che va comunque integrata con la
lettura del romanzo, è quello di riuscire a dire in pochi versi, e a farcelo
capire, la gravità di un dramma che è stato sicuramente il peggiore che la
Storia abbia subito.
Primo Michele Levi nacque a Torino nel 1919 da una famiglia
di origini ebraiche. Dopo un’infanzia difficile a causa di numerose
incomprensioni con il padre, Levi frequentò sia le superiori che l’università a
Torino, iscrivendosi al corso di laurea in Chimica. Fu proprio durante i
suoi anni universitari che in Italia entrarono in vigore le leggi razziali
del 1938, che introducevano gravi discriminazioni ai danni dei cittadini
italiani che il regime fascista considerava “di razza ebraica”, leggi
che provocarono non pochi disagi alla sua vita universitaria. Nonostante ciò,
riuscì a laurearsi con pieni voti nel 1941, ma a causa delle discriminazioni
sempre più aspre fu difficile per lui trovare un impiego nel settore, così nel
1942 si trasferì a Milano, dove iniziò a lavorare presso una fabbrica svizzera
di medicinali e contemporaneamente iniziò la sua carriera letteraria e
soprattutto politica, iscrivendosi al Partito d’Azione clandestino, di natura antifascista,
e successivamente unendosi al nucleo partigiano operante in Val d’Aosta
(la cui esperienza è sempre stata raccontata con molta reticenza).
Per questa sua appartenenza, venne arrestato nel dicembre
del ’43 dalla milizia fascista e trasferito dapprima nel campo di Fossoli e poi
nel febbraio del 1944 fu deportato nel campo di sterminio di Auschwitz,
in Polonia, dove rimase fino al 27 gennaio del 1945. Fu uno dei 20
sopravvissuti dei 650 ebrei deportati con lui.
L’esperienza nel campo di concentramento lo sconvolse sia
fisicamente che psichicamente e lo portò a voler mettere nero su bianco
l’incubo vissuto da lui e da milioni di altre persone, attraverso memorabili
testi come “Se questo è un uomo”, “La tregua” e “I sommersi e
i salvati”. Una scrittura terapeutica che però non bastò a fargli
dimenticare gli orrori della guerra.
L’11 aprile 1982, Primo Levi morì cadendo dalla tromba delle
scale della sua casa di Torino: molti sospettarono che si trattasse di suicidio
anche se l’ipotesi non è mai stata confermata.
Le opere
La bibliografia di Primo Levi è molto lunga e copre
l’intero periodo della sua carriera da scrittore, senza considerare le numerose
opere uscite dopo la sua morte. Una fra tutte è sicuramente “Se questo è
un uomo” (De Silva, 1947), romanzo-testimonianza di Levi sul suo
periodo vissuto nel campo di concentramento. Dello stesso filone troviamo
“La tregua” (Einaudi, 1963), vincitore del libro Campiello, dove
l’autore racconta il suo lungo e non facile viaggio di ritorno dal lager verso
l’Italia.
Con lo pseudonimo di Damiano Malabaila viene pubblicato nel
1966 “Storie naturali” (Einaudi), una serie di racconti
scientifici e fantascientifici, temi che verranno trattati anche in altre
opere, come “Vizio di forma” (Einaudi, 1971) e “Il sistema
periodico” (Einaudi, 1975), questa volta però con il suo vero
nome. Quest’ultimo è una raccolta di 21 racconti, ognuno con il
nome di un elemento della tavola periodica, ed è incentrato sulla vita
professionale di Levi chimico.
“La chiave a stella” (Einaudi, 1978)
appartiene al filone della letteratura industriale, in voga in quegli anni e
narra le imprese di Libertino Faussone, operaio; il libro gli conferì il Premio
Strega nel 1979. Nel 1982 pubblica “Se non ora, quando?”
(Einaudi), romanzo che narra le drammatiche vicende dei partigiani ebrei
polacchi e russi nella Seconda Guerra Mondiale. Il filone di guerra in vena
talvolta autobiografica lo ritroveremo ancora ne “L’ultimo Natale di
guerra” (Einaudi, 2000), raccolta di memorie sulla guerra e sul lager,
nella raccolta di poesie “Ad ora incerta” (Einaudi, 1984) e ne “I
sommersi e i salvati” (Einaudi, 1986), analisi approfondita
sull’universo concentrazionario che Levi fa partendo dalla sua esperienza di
prigioniero nel campo fino ad arrivare al confronto con situazioni simili, come
i gulag sovietici.
Se questo è un uomo
Il testo non nasce
come documento di denuncia, bensì come testimonianza e monito per e generazioni
future e per tutti nel non dimenticare un avvenimento così sconvolgente.
Lo stesso Levi dichiarò che il libro era nato fin dai giorni di lager per il bisogno
irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è
scritto per soddisfare questo bisogno. L'opera, durante la sua genesi, fu
comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello
di testimoniare l'accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l'esperienza
vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi di spiegare in qualche modo
l'incredibile verità dei lager nazisti.
La lettera inedita
È
di qualche tempo fa la pubblicazione sul quotidiano La Stampa di una lettera
inedita di Primo Levi a una bambina allora di 11 anni, Monica Perosino.
La
bimba, dopo aver seguito la lezione su Primo Levi ed aver letto la poesia
"Se questo è un uomo" che fa da introduzione al libro, scrisse una
lettera a Levi, chiedendogli "Perché nessuno ha fermato l'orrore?, i Tedeschi erano cattivi?". Lettera alla quale Levi rispose così:
"Piuttosto
che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e
soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la
verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi
rischi".
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