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Compito del docente è quello di accompagnare gli allievi nella formazione della persona e ciò può essere possibile solo in un tempo dilatato, per un'educazione permanente (C.C.E., 2001).

Il concetto di educazione permanente indica che si apprende in differenti contesti formali, informali, e non formali: non solo a scuola, ma anche nella rete web.

mercoledì 10 febbraio 2016

LE FOIBE




La legge

 il 10 febbraio si celebra il ''Giorno del Ricordo'', istituito con la Legge n.92 del marzo 2004, in memoria dei martiri delle foibe e dell'esodo dei profughi giuliani, istriani e dalmati.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre e fin dopo la primavera del 1945, 350mila italiani furono perseguitati e costretti a lasciare le loro case in Istria e Dalmazia e molti altri fucilati e gettati nelle voragini carsiche perche' considerati ''nemici del popolo' dalle milizie partigiane del maresciallo Tito. 

Cosa sono le foibe

Le foibe sono cavità carsiche, solitamente di origine naturale (grotte), con ingresso a strapiombo. Le foibe sono diffuse soprattutto nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia già parte della scomparsa regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell'Istria e della Dalmazia. 
Le foibe sono state usate per occultare cadaveri in diversi periodi storici, in particolare nel corso della seconda guerra mondiale.
La storia funesta delle foibe nel 1943-1945, che vide protagonista il movimento partigiano di Tito, ci riporta alle origini del fascismo nella Venezia Giulia.
La violenza dell'occupazione fascista in Jugoslavia
In seguito al Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, furono annesse all'Italia: Gorizia, Trieste, l'Istria e Zara (mentre Fiume fu dichiarata città libera; successivamente, con il Trattato di Roma, il 24 gennaio 1924 fu annessa all'Italia).
Negli anni successivi, il regime fascista impose in tutto il Venezia Giulia una violenta politica di snazionalizzazione. Come recita il testo definitivo dell’analisi bilaterale Italia-Slovenia dell'aprile 2001: «Nella Venezia Giulia vennero progressivamente eliminate tutte le istituzioni nazionali slovene e croate, le scuole furono italianizzate, gli insegnanti licenziati o costretti ad emigrare, vennero posti limiti all’accesso degli sloveni nei pubblici impieghi». All’eliminazione politica delle minoranze, si accompagnò da parte del regime mussoliniano un’azione che «aveva l’intento di arrivare alla bonifica etnica della Venezia Giulia, con la repressione attuata nei confronti del clero, che rappresentava un importante momento di sintesi della coscienza nazionale delle minoranze, e «l’abolizione dell’uso della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi».
La prima conseguenza di «questo programma di distruzione integrale delle identità» fu la fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia: «Secondo stime jugoslave emigrarono 105 mila sloveni e croati». Ma soprattutto si consolidò, agli occhi di queste minoranze, un fortissimo sentimento anti italiano, «l’equivalenza tra Italia e fascismo» che portò «la maggioranza degli sloveni al rifiuto di quasi tutto ciò che appariva italiano». Come reazione, si radicalizzarono gli obiettivi delle organizzazioni clandestine slovene che, verso la metà degli anni Trenta, «abbandonarono le rivendicazioni di autonomia culturale nell’ambito dello Stato italiano per puntare invece al distacco dall’Italia dei territori considerati loro». Un’azione che trovò l’appoggio del Partito comunista italiano. La risposta fascista fu pesante.
Anche nel '41, dopo l’occupazione dei territori jugoslavi, il regime fascista usò la  mano dura contro le minoranze, facendo leva sulla violenza, «con deportazioni nei campi istituiti in Italia (Arbe, Gonars, Renicci), il sequestro di beni e l’incendio di case». 

 Le prime foibe del settembre 1943

Nel clima di vendetta che seguì l'armistizio dell'8 settembre del '43, si registrò il primo fenomeno di foibe, in Istria e in Dalmazia, con l'uccisione da parte dei titini di alcune centinaia di italiani. Seguì una nuova ondata di violenze di matrice nazifascista. Per l'occupazione dell'Istria (completata intorno al 4-5 ottobre 1943) i nazisti, guidati dai fascisti, la misero a ferro e fuoco - e se ne vantarono nei loro stessi documenti -, con l'incendio di decine di villaggi, l'uccisione di 3000 partigiani e la deportazione nei campi in Germania di 10.000 persone.

 Le foibe di maggio-giugno '45

Tra marzo e aprile del '45, alleati e jugoslavi si impegnarono nella corsa per arrivare primi a Trieste. Vinse la IV armata di Tito che entrò in città il 1º maggio alle 9.30. Suppergiù nelle stesse ore i titini entravano anche a Gorizia. Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj non si prestavano a equivoci: «Epurare subito», «Punire con severità tutti i fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale». Come recita il testo definitivo dell’analisi bilaterale Italia-Slovenia dell'aprile 2001: il movimento partigiano di Tito scatenò «un’ondata di violenza nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano», che portò «all’arresto di molte migliaia di persone, in larga maggioranza italiane, ma anche slovene contrarie al progetto politico comunista jugoslavo»; a centinaia di esecuzioni sommarie immediate nelle foibe; a deportazioni nelle carceri e nei campi di prigionia (tra i quali va ricordato quello di Borovnica)».
La commissione, su questo punto, cerca di analizzare il contesto storico che portò a queste efferatezze: «Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori reali». Il tutto nasceva «da un movimento rivoluzionario (quello titino, n.d.r. ) che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani».
L'ondata di violenze finì il 9 giugno 1945, quando Tito e il generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione Morgan, che prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino, confermate dal Memorandum di Londra del 1954. È la linea che ancora oggi definisce il confine orientale dell’Italia. La persecuzione degli italiani, però, durò almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava.

Le radici delle foibe

La commissione italo-slovena, nella sua relazione dell'aprile 2001, ha cercato di analizzare il contesto storico che portò a queste efferatezze: «Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori reali». Il tutto nasceva «da un movimento rivoluzionario (quello titino, n.d.r. ) che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani».
Insomma, come ha scritto lo storico Enzo Collotti, "fino a quando si continuerà a voler parlare della Venezia Giulia, di una regione italiana, senza accettarne la realtà di un territorio abitato da diversi gruppi nazionali e trasformato in area di conflitto interetnico dai vincitori del 1918, incapaci di affrontare i problemi posti dalla compresenza di gruppi nazionali diversi, si continuerà a perpetuare la menzogna dell'italianità offesa e a occultare (e non solo a rimuovere) la realtà dell'italianità sopraffattrice (...) Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo contro le minoranze slovena e croata (senza parlare dei sudtirolesi o dei francofoni della Valle d'Aosta) addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione (proibizione della propria lingua, chiusura di scuole e amministrazioni locali, boicottaggio del culto, imposizione di cognomi italianizzati, toponimi cambiati) come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica? (...) Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega? Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria".
"Le foibe - sintetizza lo storico triestino Roberto Spazzali - furono il prodotto di odii diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva eliminato".

 Le responsabilità del fascismo  

Sì, era necessario strappare all'oblio «le vittime delle foibe, dell'esodo giuliano e le vicende del confine orientale» come vuole la legge del marzo 2004 che istituì il Giorno del ricordo.
Ma negli ultimi quattro anni quel giorno, il 10 febbraio, è diventato occasione per i nostalgici del fascismo di una massiccia operazione di revisionismo storico e di revanscismo, occasione di una poderosa campagna anti-slava e di manifestazione di un esasperato nazionalismo-irredentismo di frange politiche italiane, forti soprattutto a Trieste.
Anche quest'anno però assistiamo al ripetersi di regie consolidate negli anni passati quando, dalle celebrazioni del Giorno del ricordo, sono stati esclusi gli storici democratici ed obiettivi per essere egemonizzate da fanatici astiosi e rancorosi che speculano sul dolore dei familiari degli infoibati, sul dolore degli esuli; da politici dell'estrema destra neofascista, da forze che si richiamano alla medesima ideologia, che in nome della guerra allo slavo-comunismo e della civiltà romana contro la «barbarie», portò l'Italia ad aggredire la Jugoslavia, ad espandersi all'est. Il risultato fu la catastrofe, la sconfitta, la perdita dei territori orientali annessi dopo la grande guerra; furono le vendette delle vittime di quell'aggressione e di quella guerra, e dopo la firma del trattato di pace del febbraio 1947, un esodo di 200-240 mila istriani fiumani e zarattini che lasciarono quelle terre optando per l'Italia, per continuare ad essere italiani, o perché insofferenti del regime di Tito, o per motivi economici, familiari ed altro. Questi esuli furono le vittime principali della catastrofe. Ma in quegli anni (15 anni durò l'esodo, per concludersi a fine anni '50) abbandonati e ignorati dalla sinistra, quei disgraziati divennero serbatoio di voti per del Msi e della Dc, mentre oggi continuano ad essere strumentalizzati dai figli e nipoti ideologici di Almirante. 
È un modo indiretto per riabilitare i crimini di quei continuatori del fascismo che compirono i più orrendi delitti proprio nelle «terre del confine orientale», aggregati al terzo Reich come Adriatische Kunstenland litorale adriatico. Si tende così a riabilitare un regime che - dopo aver tentato di eliminare dalla Venezia Giulia le popolazioni slave con repressioni di ogni genere - dopo gli eccidi compiuti nella seconda guerra mondiale in quelle stesse e in altre regioni slave, dopo le foibe e l'esodo, sfruttano il Giorno del ricordo per seminare insofferenza e sospetti, verso gli italiani rimasti nelle terre istro-guarnerine e nuovo odio verso sloveni e croati.
Stravolgendo la storia, usando nei loro testi e discorsi la medesima roboante e falsa terminologia mussoliniana.
Fino a quando il giorno del ricordo sarà il giorno del rancore e dell'odio verso croati e sloveni? Fino a quando l'Adriatico, nobilitato per secoli dall'osmosi di uomini e culture fino al tragico 900, potrà assorbire il veleno di quei predicatori?
I quali dimenticano le tante Marzabotto chiamate kampor (isola di Arbe, 4000 morti in dieci mesi di lager), Pothum presso Fiume (100 fucilati in un solo giorno e 800 deportati), Gaiana presso Pola, Lipa presso Abbazia e tanti altri eccidi subiti da popolazioni «feroci» che dopo l'8 settembre vestirono, rifocillarono e nascosero ai tedeschi decine di migliaia di nostri soldati allo sbando.
Certo, ci furono le foibe istriane del 9-30 settembre '43, ma c'erano state, non dimentichiamolo, decine di migliaia di vittime dell'occupazione italiana dal 1941 al 1943, e in quello stesso triste 1943, dal 4 ottobre in poi, ci furono le vendette dei fascisti.
Che massacrarono 5000 civili e ne fecero deportare altri 17 mila, con le rappresaglie del reggimento «Istria» comandato da Italo Sauro e da Luigi Papo da Montona, della guardia nazionale repubblicana (poi milizia territoriale), della Decima Mas di Borghese operante con compagnie agli ordini di nazisti a Fiume, Pola, Laurana Brioni, Cherso, Portorose, della compagnia «mazza di ferro», comandata da Graziano Udovisi, della Brigata nera femminile «Norma Cossetto» presso Trieste, della VI brigata nera Asara e altri reparti. Si macchiarono di tali crimini che la loro ferocia fu denunciata persino dal Gauleiter Rainer, il quale chiese ufficialmente, con un telegramma al generale Wolff, il ritiro della Decima Mas dalla Venezia Giulia a fine gennaio 1945.
Nel documento si parla di «una moltitudine di crimini, dal saccheggio allo stupro», dalle stragi di massa agli incendi di interi villaggi.  Oggi quegli assassini vengono esaltati per aver «difeso fino all'ultimo le terre orientali d'Italia contro le orde slave». I loro morti, caduti in battaglia all'inizio del maggio 1945, vengono inclusi fra gli infoibati!
Basta, voltiamo pagina, guardiamo al futuro. Che sia di pace e di convivenza per i nostri figli.
Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nel territorio dell’ex Venezia Giulia, quindi Istria e Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune centinaia. La storiografia dell’estrema destra parla tuttavia di parecchie migliaia. 


RICORDARE IL DRAMMA DEGLI ITALIANI DELLE VENEZIE 
E DELLA DALMAZIA E' UN MODO PER CRESCERE COME NAZIONE
 
di Antonio Saitta
Le foibe e l'esodo dall'Istria e dalla Dalmazia sono una ferita sulla quale nel nostro Paese è stata stesa una cortina di silenzio. Migliaia di italiani uccisi e gettati nelle grandi fenditure carsiche (tra gli 8 e i 10mila secondo i calcoli dei piu' accreditati tra gli studiosi) e centinaia di migliaia di persone costrette ad abbandonare le loro case, le loro occupazioni, la loro terra (tra le 250 e le 300mila) sono un dramma di dimensioni immense, che ha completamente mutato la geografia umana delle terre giuliano-dalmate.

Per decenni la portata dell'esodo e delle foibe, e in generale del dramma complessivo della Venezia Giulia, non è stata colta pienamente e non è stata inserita - come invece doveva essere - nella memoria della società italiana e nella storia del Paese. Da troppo poco tempo abbiamo compreso che quella tragedia è un capitolo della nostra storia nazionale, perché gli Istriani furono italiani che hanno dovuto pagare duramente sulla loro pelle la guerra di aggressione scatenata dal regime di Mussolini e le scellerate politiche di repressione attuate dal fascismo in quelle regioni etnicamente plurali. Hanno dovuto pagare l'ostracismo imposto nei loro confronti dal regime comunista di Tito. Per tutti hanno pagato quegli Istriani che furono costretti ad abbandonare i loro luoghi, da sempre segnati dal contributo decisivo del loro lavoro.

Purtroppo di questa vicenda si e' parlato solo a Trieste e nelle comunità dei profughi: hanno taciuto gli storici, hanno taciuti i mezzi di informazione, hanno taciuto i politici. Come tanti altri italiani, io non ho trovato nessun cenno a questo dramma nei miei manuali scolastici; non ho visto ne' monumenti ne' indicazioni nella toponomastica che lo ricordassero; non ho sentito né lezioni universitarie né conferenze in proposito. Così come altre vicende legate alla seconda guerra mondiale sono state sopite, messe da parte, come ad esempio quella dei nostri soldati a Cefalonia.
Oggi gli studiosi stanno chiarendo le ragioni del silenzio sulle foibe.

Ragioni internazionali , prima di tutto: quando nel 1948 il maresciallo Tito venne scomunicato da Stalin e dal Cominform, per l'Occidente diventò un interlocutore, il riconosciuto leader dei cosiddetti "paesi non allineati". Gli interlocutori, si sa, non si mettono in difficoltà con domande imbarazzanti, e cosi' le foibe e la persecuzione degli Italiani d'Istria e Dalmazia uscirono dall'agenda internazionale.
Ragioni di partito , in secondo luogo: per il partito comunista di Togliatti la questione del confine nordorientale era terreno insidioso, che metteva in risalto le ambiguità della propria politica estera, l'oscillazione tra la difesa degli interessi nazionali e quella degli interessi internazionalisti.

Ragion di stato , infine: la Jugoslavia di Tito era un Paese confinante con il quale il Governo italiano voleva rapportarsi in termini di collaborazione, senza riaprire contenziosi relativi alle stragi della primavera 1945 e alla semplificazione etnica successiva.
Sono trascorsi 60 anni dalla fine della guerra e 50 dalla restituzione di Trieste all'Italia. Con la caduta del muro di Berlino sono venute meno le interferenze ideologiche che hanno così a lungo condizionato i giudizi sul passato recente. Oggi siamo più liberi anche nel modo con il quale guardare alla nostra storia.

La giornata del ricordo del 10 febbraio, anniversario della firma del Trattato di pace che ha fissato i confini tra Italia e Jugoslavia, è l'occasione per tentare di ricomporre una memoria comune, per ricomprendere nell'immaginario collettivo della nostra nazione cio' che e' accaduto alle genti giuliano-dalmate.

Certo ricordare le foibe significa anche affermare giustamente che tutte le vittime sono uguali. Le vittime delle foibe - alcune delle quali, antifascisti militanti, caddero per mano di coloro che avevano considerato amici e alleati nella lotta contro il nazifascismo - non valgono meno delle vittime della Shoa. "Ma non si possono storicamente equiparare" ci ricorda oggi Claudio Magris "le foibe alla Shoa e non tanto per il divario numerico, ma perché in un caso si è trattato del pianificato progetto di sterminio di un popolo intero e nell'altro di una violenza nazionalista - socialista- ideologica, simile a tanti altri episodi accaduti in analoghe circostanze di guerra e di collasso civile, ma non per questo certo meno orribile o più giustificabile".
La giornata del ricordo rappresenta un indennizzo postumo che non vale a ripagare delle sofferenze: mi riferisco non solo a quelli che sono stati uccisi, ma anche alle migliaia di profughi di prima generazione, che hanno trascorso anni nei centri di raccolta sparsi per tutta la penisola, vivendo spesso in condizioni drammatiche di emergenza e di promiscuità. Ma e' un indennizzo che vale per noi, per le nuove generazioni che crescono: essere consapevoli di quanto e' accaduto e' lo strumento attraverso cui una nazione trova la propria identità, la propria forza, la propria coesione.
Parlare di foibe e di esodo, analizzare il contesto nel quale i fatti sono maturati, capire le colpevoli ragioni di tanto silenzio e' un modo per crescere come nazione.

Giornata del Ricordo: 10 febbraio. Poco prima, Giornata della Memoria: 27 gennaio. Innanzi tutto, mi si lasci dire che appare davvero difficile da accettare il paragone tra un fatto storico come la Shoa, che ha una sua unicità terribile nella vicenda dell’umanità, e una serie di eventi che certamente tragici, rientrano tra le “normali”, per quanto variamente efferate, vicissitudini dei conflitti bellici.
In secondo luogo, posso aggiungere che questo proliferare di memorie obbligate e “condivise” (altre proposte di leggi e leggine si annunciano o si richiedono per istituirne, finché avremo un calendario senza più un giorno libero) sta rendendo stucchevole ogni ricordo? E lo sta mercificando e banalizzando? 

Sulle foibe da anni si sono condotti studi attendibili, e misconosciuti, da parte di gruppi di studiosi, collocati in particolare nelle zone di confine tra Italia e ex Jugoslavia, dentro o comunque vicino agli Istituti storici della Resistenza. E che su questa vicenda si sono fornite cifre del tutto fasulle, che sono variate a seconda dello spirare dei venti politici; con un vergognoso cedimento persino degli autori dei manuali di storia, che hanno ampliato a dismisura nel corso degli ultimi quindici-vent’anni, il totale degli infoibati. 
Si è arrivato a parlare  di “decine di migliaia di morti”. Di “migliaia e migliaia” di italiani infoibati vivi, solo perché italiani, o non comunisti, o cattolici. O sacerdoti. E quant’altro, per denunciare la mostruosa crudeltà del comunismo e lo spirito disumano di vendetta che animò i “titoini” – i partigiani di Tito, con i loro complici italiani militanti sotto le bandiere del Pci togliattiano – nella loro resa dei conti a danno dei “vinti” di cui – ah, Pansa! – sparsero il sangue: ovviamente innocente. 
Ebbene, che cosa non quadra in questa “ricostruzione”? C’è che, come appunto si fa nel cicaleccio pseudostorico imperante a proposito del post-XXV Aprile in Italia, si dimentica il contesto in cui i fatti avvennero e si devono necessariamente collocare.
E quel contesto ci parla sì di efferatezze e brutalità, ma commesse da chi? Dai nostri soldati. Dai fascisti ai danni degli jugoslavi.
Gli italiani fascisti, come dimostrano molti studi degli ultimi anni, si fecero odiare in quelle terre persino più dei tedeschi nazisti. Istituirono campi di concentramento. Commisero ogni sorta di nefandezze, ai danni di popolazioni inermi. E come ci si può stupire poi che si sia giunto a una resa dei conti, a guerra finita? Ovviamente, non si giustificano così efferatezze dell’altra parte, i delitti restano delitti, quali che sia la loro fattispecie: ma i contesti in cui avvengono li rendono assai diversi, gli uni dagli altri. E comunque sono i contesti che aiutano a spiegare tutti i singoli fatti, individuali e collettivi.
Ciò detto, è un clamoroso falso storico parlare di migliaia o decine di migliaia di infoibati. Si trattò invece di qualche centinaio di persone. No. Va bene. “Non facciamo la conta dei morti”: sento già qualcuno che me lo urla. Non facciamola. Ma la differenza tra qualche centinaia e le decine di migliaia non è di poco conto. Ma al di là di questo il falso non concerne solo e tanto le cifre, quanto la sostanza. Chi furono gli infoibati? Ossia coloro che vennero gettati nelle foibe? Furono spesso i caduti in guerra, di ambo le parti: una sepoltura sbrigativa, certo, ma in tempi di guerra si può sottilizzare? Furono talora, invece, i condannati a morte in regolari processi: fucilati e poi gettati in quelle naturali cavità del terreno. Furono anche, in rari casi, persone vittime di agguati, catturate, e gettate, dopo essere state uccise, o, raramente, vive. Ma accadde agli uni e agli altri. E presentare la vicenda delle foibe come un’azione sistematica, di inaudita ferocia, messa in atto dai comunisti (jugoslavi, ma con la complicità degli italiani) ai danni degli italiani (non comunisti), significa falsificare o addirittura rovesciare la verità storica (a chi voglia saperne di più consiglio il recente volume a cura di Alessandra Kersevan, Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, Kappa Vu editore).
Si dirà che il ricordo del 10 febbraio concerne anche le migliaia (questi sì, decine di migliaia) di nostri connazionali costretti dagli accordi italo-jugoslavi a lasciare le terre dov’erano nati, dove avevano casa, e avevano costruito un’esistenza. Premesso che si è stabilito un nesso tra i due eventi (quasi a dire che gli italiani fuggivano per evitare di essere infoibati!), bizzarramente, quel ricordo della tragedia degli italiani costretti all’esodo, viene oggi completamente obliterato dal mendace, quanto orientato, discorso sulle foibe.
L’ideologia sconfigge la storia, e la moneta cattiva dell’uso politico di una storia ad usum delphini, scaccia quella buona della storia autentica il cui compito è l’accertamento della verità. E il ricordo dei dalmati e degli istriani che dovettero abbandonare le loro case e le loro corse, diventa un pretesto per una infinita “resa dei conti” con il “comunismo”: origine e fonte di ogni male della storia, in questo sedicente discorso “storico”.
Amaramente, non posso che constatare ancora una volta che alla crescente domanda di storia, nella pubblica opinione, corrisponde, paradossalmente, una totale emarginazione della figura professionale dello storico, sostituito da soubrettes dell’intrattenimento mediatico, che si piegano volentieri a dire ciò che si fa lascia loro dire. O ciò che ritengono che qualcuno voglia sentir dire. E va bene. Ciò che non va affatto bene è che codesta roba venga spacciata per “storia”.
Angelo d'Orsi



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