La
figura figura femminile è fondamentale nella produzione di Dante, Petrarca e
Boccaccio; figura che si concretizza rispettivamente in Beatrice, Laura e
Madonna Fiammetta.
CONCEZIONE DELL’AMORE
DANTE riteneva
che la donna fosse l’unico tramite tra l’uomo e Dio. Come possiamo notare in
quasi tutte le sue opere, la donna è presentata con un’aggettivazione quasi
divina, che ben si addice ad un angelo. Ad esempio, nel sonetto “Tanto gentile
e tanto onesta pare” possiamo notare, oltre all'aggettivazione divina di
Beatrice, come ogni uomo rimane quasi pietrificato vedendola, e nessuno si
azzarda ad avvicinarsi o a pensare di “toccarla”.
Del tutto opposta è la visione di BOCCACCIO. Per lui la donna non è un
angelo come per Dante, ma è semplicemente un essere umano. Inoltre l’amore non
è visto più solo come qualcosa di teorico, ma diventa un sentimento umano e
terreno che spesso coinvolge la carne altrettanto o più dello spirito e accende
le passioni più sensuali; può essere all’origine di grande felicità, ma anche
di delusione, sofferenze, tradimenti, gelosia e odio.
PETRARCA
invece non presenta l'amore come mezzo di elevazione al divino, ma come
esperienza dell'«errore», vaneggiamento, follia. È peccato, provoca senso di
colpa, perché Laura è presenza fisica che turba i sensi del poeta, oggetto di
un desiderio che aspira al soddisfacimento.
La contraddizione tra l'amore-passione e la fedeltà ai principi religiosi era già esplosa in Dante, che l'aveva risolta con una scelta drastica a favore del divino e con l'identificazione di Beatrice con le aspirazioni più alte della propria anima. Petrarca vive in una civiltà in cui la vita terrena, la bellezza e i desideri del corpo sono diventati troppo vitali perché possano essere negati e sublimati senza drammi.
La contraddizione tra l'amore-passione e la fedeltà ai principi religiosi era già esplosa in Dante, che l'aveva risolta con una scelta drastica a favore del divino e con l'identificazione di Beatrice con le aspirazioni più alte della propria anima. Petrarca vive in una civiltà in cui la vita terrena, la bellezza e i desideri del corpo sono diventati troppo vitali perché possano essere negati e sublimati senza drammi.
BEATRICE
Beatrice,
figlia di un banchiere, si era imparentata con un'altra famiglia di grandi
banchieri, i Bardi, andando in sposa ancora giovanissima, appena adolescente, a
Simone, detto Mone. È recentissimo il ritrovamento di nuovi documenti
nell'archivio Bardi su Beatrice e suo marito da parte dello studioso Domenico
Savini[1] Tra questi un atto notarile del 1280, dove Mone de' Bardi cede alcuni
terreni a suo fratello Cecchino con il beneplacito della moglie Bice, che
all'epoca doveva avere circa quindici anni. Un secondo documento del 1313,
quando cioè Beatrice doveva essere già morta, cita il matrimonio tra una figlia
di Simone, Francesca, e Francesco di Pierozzo Strozzi per intercessione dello
zio Cecchino, ma non è specificato se la madre fosse stata Beatrice o la
seconda moglie di Simone, Bilia (Sibilla) di Puccio Deciaioli. Altri figli
conosciuti di Simone sono Bartolo e Gemma, la quale venne maritata a un
Baroncelli.
La
lapide in Santa Margherita dei Cerchi, Firenze. Il luogo di sepoltura di
Beatrice viene tradizionalmente indicato nella chiesa di Santa Margherita de'
Cerchi, vicina alle abitazioni degli Alighieri e dei Portinari, dove si
troverebbero i sepolcri di Folco e della sua famiglia. Ma questa ipotesi,
sebbene segnalata da una lapide moderna che colloca la data di morte di
Beatrice al 1291, è incoerente perché Beatrice morì maritata e quindi la sua
sepoltura avrebbe dovuto avere luogo nella tomba della famiglia del marito.
Infatti Savini indica come possibile luogo il sepolcro dei Bardi situato nella basilica
di Santa Croce, sempre a Firenze, tutt'oggi segnalato nel chiostro da una
lapide con lo stemma familiare, vicino alla Cappella dei Pazzi.
Nella
“Vita Nova” Dante raffigura Beatrice nella sua umanità, mettendo in luce quella
fisicità della donna, che nello stilnovismo era diventata effimera..
La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.
La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.
A
differenza del “Dolce Stilnovo”, Dante raffigura l’astratto con forme e figure
concrete e non con personificazioni ed allegorie.
L’immagine
di Beatrice, con la sua bellezza pura ed il suo animo colmo di beatitudine, ha
la funzione di portare alla luce l’interiorità del poeta e di avviare quel
rinnovamento che culminerà poi nella “Divina Commedia”.
L’incontro
con Beatrice rappresenta un’esperienza di tipo mistico, affine a quelle
elaborate dai teologi medioevali precedenti Dante.
Anche
Dante, mediante l’amore per Beatrice, compie un itinerario ascendente che porta
la sua anima alla contemplazione del cielo.
L’incontro
con Beatrice è predestinato dall’alto. L’apparizione della donna porta
beatitudine non solo a Dante, ma anche a tutti quelli come lui.
Nove
anni dopo, Ella riappare vestita di bianco ed in questa occasione lo saluta. Il
saluto di Beatrice è un’esperienza di estasi e di rapimento.
Il
saluto rappresenta da un lato accoglienza ed omaggio, e dall’altro il saluto
dell’anima, cioè la salvezza.
Di
questo evento provvidenziale si possono notare tre momenti diversi: la donna
che appare produce un effetto di carità; prima del saluto c’è uno squilibrio
dei sensi; il senso provoca la beatitudine statica.
La
negazione del saluto provoca di conseguenza il dolore, perché esclude la
pienezza spirituale, cioè la beatitudine.
Beatrice
è la prima donna a lasciare una traccia indelebile nella nascente letteratura
italiana, nonostante analoghe figure femminili siano presenti anche nei
componimenti di Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, anche se non con
l'incisività del personaggio dantesco. A Beatrice è dedicata la Vita Nuova,
dove il poeta raccoglie entro una struttura in prosa una serie di componimenti
poetici scritti negli anni precedenti. Secondo la Vita Nuova Beatrice fu vista
da Dante per la prima volta quando aveva 9 anni e i due si conobbero quando lui
aveva diciotto anni. Andata in sposa al banchiere Simone dei Bardi nel 1287, si
crede anche che si sia spenta nel 1290, a soli ventiquattro anni.
Quando
morì, Dante, disperato, studiò la filosofia e si rifugiò nella lettura di testi
latini, scritti da uomini che, come lui, avevano perso una persona amata. La
fine della sua crisi coincise con la composizione della Vita Nuova (intesa come
"rinascita").
Nella Divina Commedia Beatrice subisce un processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta come creatura angelica (secondo gli ideali stilnovistici). Ella rappresenta la Fede, che accompagna il pellegrino nel Paradiso.
Nella Divina Commedia Beatrice subisce un processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta come creatura angelica (secondo gli ideali stilnovistici). Ella rappresenta la Fede, che accompagna il pellegrino nel Paradiso.
E'
proprio con le rime dedicate a Beatrice
che si afferma l'originalità dello stil novo dantesco che insiste sul legame
tra amore e gentilezza e vede nella donna un assoluto miracolo fonte di ogni
salute, grazia e umiltà. Pur riprendendo Guinizzelli e Cavalcanti, Dante carica
la figura femminile di un forte significato simbolico: la bellezza di Beatrice
si riflette nel mondo circostante e da essa emergono i versi che la lodano; è
l'annuncio di una salvezza,di un riscatto di quanto negativo e di non degno c'è
nell'esistenza. Le rime a lei dedicate furono raccolte nella Vita nuova che
parte dal primo incontro del poeta con la donna e in cui egli cerca
consolazione per la sua morte prima, per divenire poi esaltazione di Beatrice
di fronte al mondo. Beatrice diverrà una figura salvifica pur mantenendo i
caratteri di una creatura mortale e diverrà il centro del pensiero filosofico e
religioso di Dante.
LAURA
A differenza di Beatrice,
che ha precisi legami con il simbolo e con la scolastica, Laura, la donna
cantata da Petrarca, appare nella sua personalità di donna.
Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.
La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.
Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.
La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.
Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.
La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità.
Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.
La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.
Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.
La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.
Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.
La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità.
All'amore
per Laura sono invece dedicati quasi
tutti i componimenti del Canzoniere di Petrarca la cui esperienza è
completamente segnata da questo amore. Viene però eliminata ogni concretezza
fisica, anche se Laura esistette realmente (era una giovane avignonese), e
tutto diviene astratto e simbolico, segno di un' esperienza interiore. Il nome
Laura s'identifica con il lauro, la pianta della poesia con cui Petrarca stesso
venne coronato poeta. L'amore conferisce al poeta un valore eccezionale , ma a
differenza di Dante è qualcosa di interiore all' animo senza retroscena
filosofici, non è una forza salvatrice bensì un desiderio incolmabile che
diviene ragione di vita. E' dono e condanna, un oscillazione che nega pace al
poeta. La donna è splendente e preziosa ma anche una "dolce nemica"
che consola e distrugge.
FIAMMETTA
Lunga lettera che la narratrice protagonista Fiammetta, il grande amore napoletano dello scrittore, immagina "da lei alle innamorate donne mandata" (come dice l'incipit). La protagonista voce narrante racconta la sua vicenda sentimentale: innamoratasi al primo sguardo di Panfilo, mercante fiorentino identificabile con l'autore, vive una stagione di felicità interrotta però dalla partenza dell'amante per Firenze.
La promessa infranta di Panfilo di un successivo ritorno a Napoli è il primo evento di una serie di peripezie: la donna apprende prima che Panfilo si è sposato, ma quando è in procinto di di riconquistare una rassegnata serenità, viene a sapere che quella notizia era falsa e che l'amato ha invece una relazione con una donna fiorentina. Folle di gelosia, Fiammetta vuol darsi la morte ma ciò le viene impedito dalla vecchia nutrice.
Arriva infine la notizia di un prossimo ritorno a Napoli dell'amato e Fiammetta torna nuovamente a sperare.
E'
invece L'Elegia di Madonna Fiammetta a costituire la sintesi dei motivi amorosi
di Boccaccio. Si tratta di una lettera in prosa rivolta da Fiammetta (l'amore napoletano dell'autore) "alle innamorate
donne" riprendendo i moduli dell'elegia erotica latina. La grande novità è
che l'autore attribuisce la parola direttamente a una voce femminile: la donna
non è più "oggetto d'amore" raccontato da una voce maschile, ma è un
soggetto parlante, amante abbandonata e disperata che cerca la compassione
delle altre donne. Diverse sono invece le figure femminili nel Decameron :
seducenti e misteriose, ma anche dolci e appassionate figure materne (secondo
alcuni dietro alla figura di Griselda vi sarebbe un omaggio dell'autore a sua madre
morta prematuramente.)
Dante, Petrarca e Boccaccio
hanno una concezione molto differente riguardo l'amore nelle loro opere (e
quindi della donna).
Nelle novelle del
Decameron si ritrovano elementi della concezione cortese dell’amore: il culto
della donna da parte di Federico degli Alberighi, Nastagio degli onesti che si
strugge per un oggetto irraggiungibile.
Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.
Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.
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