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venerdì 8 aprile 2016

BEATRICE - LAURA - FIAMMETTA



La figura figura femminile è fondamentale nella produzione di Dante, Petrarca e Boccaccio; figura che si concretizza rispettivamente in Beatrice, Laura e Madonna Fiammetta.

CONCEZIONE DELL’AMORE

DANTE riteneva che la donna fosse l’unico tramite tra l’uomo e Dio. Come possiamo notare in quasi tutte le sue opere, la donna è presentata con un’aggettivazione quasi divina, che ben si addice ad un angelo. Ad esempio, nel sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” possiamo notare, oltre all'aggettivazione divina di Beatrice, come ogni uomo rimane quasi pietrificato vedendola, e nessuno si azzarda ad avvicinarsi o a pensare di “toccarla”.
Del tutto opposta è la visione di BOCCACCIO. Per lui la donna non è un angelo come per Dante, ma è semplicemente un essere umano. Inoltre l’amore non è visto più solo come qualcosa di teorico, ma diventa un sentimento umano e terreno che spesso coinvolge la carne altrettanto o più dello spirito e accende le passioni più sensuali; può essere all’origine di grande felicità, ma anche di delusione, sofferenze, tradimenti, gelosia e odio.
PETRARCA invece non presenta l'amore come mezzo di elevazione al divino, ma come esperienza dell'«errore», vaneggiamento, follia. È peccato, provoca senso di colpa, perché Laura è presenza fisica che turba i sensi del poeta, oggetto di un desiderio che aspira al soddisfacimento.
La contraddizione tra l'amore-passione e la fedeltà ai principi religiosi era già esplosa in Dante, che l'aveva risolta con una scelta drastica a favore del divino e con l'identificazione di Beatrice con le aspirazioni più alte della propria anima. Petrarca vive in una civiltà in cui la vita terrena, la bellezza e i desideri del corpo sono diventati troppo vitali perché possano essere negati e sublimati senza drammi.


BEATRICE 

Beatrice, figlia di un banchiere, si era imparentata con un'altra famiglia di grandi banchieri, i Bardi, andando in sposa ancora giovanissima, appena adolescente, a Simone, detto Mone. È recentissimo il ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio Bardi su Beatrice e suo marito da parte dello studioso Domenico Savini[1] Tra questi un atto notarile del 1280, dove Mone de' Bardi cede alcuni terreni a suo fratello Cecchino con il beneplacito della moglie Bice, che all'epoca doveva avere circa quindici anni. Un secondo documento del 1313, quando cioè Beatrice doveva essere già morta, cita il matrimonio tra una figlia di Simone, Francesca, e Francesco di Pierozzo Strozzi per intercessione dello zio Cecchino, ma non è specificato se la madre fosse stata Beatrice o la seconda moglie di Simone, Bilia (Sibilla) di Puccio Deciaioli. Altri figli conosciuti di Simone sono Bartolo e Gemma, la quale venne maritata a un Baroncelli.
La lapide in Santa Margherita dei Cerchi, Firenze. Il luogo di sepoltura di Beatrice viene tradizionalmente indicato nella chiesa di Santa Margherita de' Cerchi, vicina alle abitazioni degli Alighieri e dei Portinari, dove si troverebbero i sepolcri di Folco e della sua famiglia. Ma questa ipotesi, sebbene segnalata da una lapide moderna che colloca la data di morte di Beatrice al 1291, è incoerente perché Beatrice morì maritata e quindi la sua sepoltura avrebbe dovuto avere luogo nella tomba della famiglia del marito. Infatti Savini indica come possibile luogo il sepolcro dei Bardi situato nella basilica di Santa Croce, sempre a Firenze, tutt'oggi segnalato nel chiostro da una lapide con lo stemma familiare, vicino alla Cappella dei Pazzi.
Nella “Vita Nova” Dante raffigura Beatrice nella sua umanità, mettendo in luce quella fisicità della donna, che nello stilnovismo era diventata effimera..
La carnagione, il colore della pelle, i vestiti, ora sanguigni, ora bianchi, e gli sguardi, conferiscono a Beatrice un aspetto reale, anche se sottendono un significato anagogico, che rende la donna mediatrice ed angelica.
A differenza del “Dolce Stilnovo”, Dante raffigura l’astratto con forme e figure concrete e non con personificazioni ed allegorie.
L’immagine di Beatrice, con la sua bellezza pura ed il suo animo colmo di beatitudine, ha la funzione di portare alla luce l’interiorità del poeta e di avviare quel rinnovamento che culminerà poi nella “Divina Commedia”.
L’incontro con Beatrice rappresenta un’esperienza di tipo mistico, affine a quelle elaborate dai teologi medioevali precedenti Dante.
Anche Dante, mediante l’amore per Beatrice, compie un itinerario ascendente che porta la sua anima alla contemplazione del cielo.
L’incontro con Beatrice è predestinato dall’alto. L’apparizione della donna porta beatitudine non solo a Dante, ma anche a tutti quelli come lui.
Nove anni dopo, Ella riappare vestita di bianco ed in questa occasione lo saluta. Il saluto di Beatrice è un’esperienza di estasi e di rapimento.
Il saluto rappresenta da un lato accoglienza ed omaggio, e dall’altro il saluto dell’anima, cioè la salvezza.
Di questo evento provvidenziale si possono notare tre momenti diversi: la donna che appare produce un effetto di carità; prima del saluto c’è uno squilibrio dei sensi; il senso provoca la beatitudine statica.
La negazione del saluto provoca di conseguenza il dolore, perché esclude la pienezza spirituale, cioè la beatitudine.
Beatrice è la prima donna a lasciare una traccia indelebile nella nascente letteratura italiana, nonostante analoghe figure femminili siano presenti anche nei componimenti di Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, anche se non con l'incisività del personaggio dantesco. A Beatrice è dedicata la Vita Nuova, dove il poeta raccoglie entro una struttura in prosa una serie di componimenti poetici scritti negli anni precedenti. Secondo la Vita Nuova Beatrice fu vista da Dante per la prima volta quando aveva 9 anni e i due si conobbero quando lui aveva diciotto anni. Andata in sposa al banchiere Simone dei Bardi nel 1287, si crede anche che si sia spenta nel 1290, a soli ventiquattro anni.
Quando morì, Dante, disperato, studiò la filosofia e si rifugiò nella lettura di testi latini, scritti da uomini che, come lui, avevano perso una persona amata. La fine della sua crisi coincise con la composizione della Vita Nuova (intesa come "rinascita").
Nella Divina Commedia Beatrice subisce un processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta come creatura angelica (secondo gli ideali stilnovistici). Ella rappresenta la Fede, che accompagna il pellegrino nel Paradiso.
E' proprio con le rime dedicate a Beatrice che si afferma l'originalità dello stil novo dantesco che insiste sul legame tra amore e gentilezza e vede nella donna un assoluto miracolo fonte di ogni salute, grazia e umiltà. Pur riprendendo Guinizzelli e Cavalcanti, Dante carica la figura femminile di un forte significato simbolico: la bellezza di Beatrice si riflette nel mondo circostante e da essa emergono i versi che la lodano; è l'annuncio di una salvezza,di un riscatto di quanto negativo e di non degno c'è nell'esistenza. Le rime a lei dedicate furono raccolte nella Vita nuova che parte dal primo incontro del poeta con la donna e in cui egli cerca consolazione per la sua morte prima, per divenire poi esaltazione di Beatrice di fronte al mondo. Beatrice diverrà una figura salvifica pur mantenendo i caratteri di una creatura mortale e diverrà il centro del pensiero filosofico e religioso di Dante.

LAURA

A differenza di Beatrice, che ha precisi legami con il simbolo e con la scolastica, Laura, la donna cantata da Petrarca, appare nella sua personalità di donna.
Laura è modesta, casta, gentile, ornata di virtù, ma ha anche un corpo che infiamma l’immaginazione del poeta.
La bellezza della donna e della natura che le fa da sfondo, sono alla base di un amore che non è più concetto oppure simbolo, ma sentimento.
Laura appare come una donna bella, in cui è racchiuso l’ideale femminile, non toccato da miseria umana, posto al di sopra delle passioni, che il poeta non vuol profanare trasformandolo in una creatura umana.
La vita di Laura diventa umana dopo la morte, quando si è trasformata in una creatura celeste.
Questa seconda Laura appare più viva, perché meno Dea e più donna.
La nuova Laura che trionfa nel cielo, è umanissima, affettuosa e pietosa, ed attende solo il suo bel corpo ed il poeta per giungere al compimento della sua felicità.
All'amore per Laura sono invece dedicati quasi tutti i componimenti del Canzoniere di Petrarca la cui esperienza è completamente segnata da questo amore. Viene però eliminata ogni concretezza fisica, anche se Laura esistette realmente (era una giovane avignonese), e tutto diviene astratto e simbolico, segno di un' esperienza interiore. Il nome Laura s'identifica con il lauro, la pianta della poesia con cui Petrarca stesso venne coronato poeta. L'amore conferisce al poeta un valore eccezionale , ma a differenza di Dante è qualcosa di interiore all' animo senza retroscena filosofici, non è una forza salvatrice bensì un desiderio incolmabile che diviene ragione di vita. E' dono e condanna, un oscillazione che nega pace al poeta. La donna è splendente e preziosa ma anche una "dolce nemica" che consola e distrugge.

FIAMMETTA

Lunga lettera che la narratrice protagonista Fiammetta, il grande amore napoletano dello scrittore, immagina "da lei alle innamorate donne mandata" (come dice l'incipit). La protagonista voce narrante racconta la sua vicenda sentimentale: innamoratasi al primo sguardo di Panfilo, mercante fiorentino identificabile con l'autore, vive una stagione di felicità interrotta però dalla partenza dell'amante per Firenze.
La promessa infranta di Panfilo di un successivo ritorno a Napoli è il primo evento di una serie di peripezie: la donna apprende prima che Panfilo si è sposato, ma quando è in procinto di di riconquistare una rassegnata serenità, viene a sapere che quella notizia era falsa e che l'amato ha invece una relazione con una donna fiorentina. Folle di gelosia, Fiammetta vuol darsi la morte ma ciò le viene impedito dalla vecchia nutrice.
Arriva infine la notizia di un prossimo ritorno a Napoli dell'amato e Fiammetta torna nuovamente a sperare.
E' invece L'Elegia di Madonna Fiammetta a costituire la sintesi dei motivi amorosi di Boccaccio. Si tratta di una lettera in prosa rivolta da Fiammetta (l'amore napoletano dell'autore) "alle innamorate donne" riprendendo i moduli dell'elegia erotica latina. La grande novità è che l'autore attribuisce la parola direttamente a una voce femminile: la donna non è più "oggetto d'amore" raccontato da una voce maschile, ma è un soggetto parlante, amante abbandonata e disperata che cerca la compassione delle altre donne. Diverse sono invece le figure femminili nel Decameron : seducenti e misteriose, ma anche dolci e appassionate figure materne (secondo alcuni dietro alla figura di Griselda vi sarebbe un omaggio dell'autore a sua madre morta prematuramente.) 
Dante, Petrarca e Boccaccio hanno una concezione molto differente riguardo l'amore nelle loro opere (e quindi della donna). 
Nelle novelle del Decameron si ritrovano elementi della concezione cortese dell’amore: il culto della donna da parte di Federico degli Alberighi, Nastagio degli onesti che si strugge per un oggetto irraggiungibile.
Se l’amore cortese era necessariamente adultero, l’uomo boccacciano si realizza invece compiutamente nel matrimonio. Per Boccaccio l’amore non deve più rinuncia e mortificazione del corpo, né desiderio inappagato. Trionfa nel Decameron una concezione naturalistica: l’amore e il sesso sono fatti naturali, e per ciò stesso sani e innocenti, e peccato è semmai reprimerli. Anche un‘eroina destinata a tragica morte come Ghismunda rivendica appassionatamente i diritti naturali della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.



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