Il brano preso in analisi è tratto dalla pagina iniziale del
capitolo XII del romanzo ‘Il fu Mattia Pascal’, scritto da Luigi Pirandello.
La prima edizione del romanzo risale al 1904;
quest’ultimo fu pubblicato dapprima a puntate (come in Inghilterra era già
avvenuto per i romanzi di Dickens, i cosiddetti ‘Novels in instalments’ quali
ad esempio David Copperfield o Oliver Twist) all’interno de ‘La nuova Antologia’,
per poi essere pubblicato in volume. Non mancarono le traduzioni in altre
lingue europee come il tedesco, il francese e l’inglese vista la generosa
accoglienza che il pubblico riservò all’opera. Tra tutte, però, l’edizione più
importante è sicuramente quella definitiva del 1921, per la presenza
dell’appendice intitolata ‘Avvertenze sugli scrupoli della fantasia’, in cui
Pirandello afferma che lo scrittore non è tenuto a preoccuparsi della
verosimiglianza della storia di cui si vuole trattare, poiché la vita è di
fatto così inverosimile che va oltre ogni limite della fantasia.
Quest’ultimo concetto è intrinseco al brano ‘Lo strappo
nel cielo di carta’ e racchiude in sé il rifiuto dell’ideologia ottocentesca
del positivismo, per far spazio al relativismo del Novecento e metaforicamente rappresenta la perdita da parte
dell’uomo moderno dei valori tradizionali su cui aveva fondato le sue sicurezze.
Mattia Pascal, protagonista dell’opera, cambia identità
diventando Adriano Meis e inizia a viaggiare per l’Italia e per l’Europa. Egli
poi si stabilisce a Roma nella pensione di Anselmo Paleari, pensatore
eccentrico, il quale è portavoce dell’ideologia di Pirandello. Nella Roma di
fine Ottocento si assiste ad uno spettacolo di marionette in cui viene
rappresentata la tragedia greca “Elettra” di Sofocle.
Paleari enuncia una riflessione sulle conseguenze
di uno “strappo nel cielo di carta” del teatrino di marionette durante la
rappresentazione della vicenda di Oreste. Quest’ultimo, eroe protagonista dell’
”Elettra”, incarna l’uomo sicuro dei propri principi e valori. La sua sicurezza
gli permette di uccidere senza lacerazioni interiori sua madre e l’amante di
lei che sono gli assassini di suo padre Agamennone. Anselmo si chiede allora
che cosa succederebbe se nel momento in cui Oreste sta per uccidere la madre si
verificasse uno strappo nel cielo di cartapesta del teatrino.
Secondo Paleari Oreste verrebbe assalito dai dubbi
e il suo mondo di certezze crollerebbe diventando così un eroe tragico moderno
come Amleto. Anche quest’ultimo deve vendicare la morte del padre, ucciso a
tradimento con la complicità del madre, ma a differenza di Oreste egli è tormentato,
insicuro e pieno di incertezze. La tragedia classica e quella moderna finiscono
per coincidere per uno “strappo”. L’immagine del cielo strappato è una metafora
del valore distruttivo della ragione nei confronti delle illusioni create dagli
uomini per confortarsi. Sotto il cielo lacerato gli uomini si ritrovano soli e
privi di guide divine o umane si arrendono all’inazione. La riflessione di
Paleari si riferisce in realtà alla triste condizione dell’uomo novecentesco
che vede improvvisamente crollare tutte le certezze su cui si erano fondate la
scienza e la filosofia fino ad allora. La confusione della marionetta di Oreste
corrisponde all’uomo che si ritrova solo e privo di giustificazioni per le
proprie azioni sotto un cielo reale e non più illusorio. Questo scenario
“strappato” diventa inoltre lo sfondo ideale sul quale viene rappresentata la
vicenda di Mattia Pascal che non riesce a trovare la propria identità in un
mondo dominato dalle “maschere”.
– La tragedia d’Oreste in un teatrino di marionette! – venne
ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. – Marionette automatiche, di nuova
invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in via dei Prefetti, numero
cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis.
– La tragedia d’Oreste?
– Già! D’après Sophocle, dice
il manifestino. Sarà l’Elettra.
Ora senta un po, che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante,
proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte
del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta
del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.
– Non saprei, – risposi, stringendomi ne le spalle.
– Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe
terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.
– E perché?
– Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe
seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto, gli andrebbero lì a
quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella
scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto.
Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste
in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.
E se ne andò, ciabattando.
Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso
precipitar così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso,
l’opportunità di essi rimanevano lassù, tra le nuvole, dimodoché difficilmente
a chi lo ascoltava riusciva di capirci qualche cosa.
L’immagine della marionetta d’Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase
tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto: «Beate le marionette,»
sospirai, «su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi!
Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla!
E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e
tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o
capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto
proporzionato.
Il brano può essere diviso in due sezioni: la prima è una
sequenza dialogica tra il filosofo Anselmo Paleari e il protagonista del
romanzo, Mattia Pascal, che si cela sotto le mentite spoglie del signor Adriano
Meis. L’intellettuale invita il protagonista ad uno spettacolo di marionette,
il quale non è altro che una trasposizione del celebre dramma di Oreste, tragedia
classica del mondo greco scritta da Sofocle. Dopo aver descritto brevemente il
tema dello spettacolo al signor Meis, dunque, Anselmo Paleari invita lo stesso
ad una riflessione: cosa succederebbe se al culmine della tragedia, la
marionetta dell’Oreste, ormai sul punto di vendicare la morte del padre, si
accorgesse di uno squarcio nel cielo di carta del teatrino? Semplice: il
personaggio si trasformerebbe da carattere fisso (come era per tutti i
personaggi della classicità, compresi l’Achille o l’Ulisse delle opere di Omero) a
personaggio moderno, dinamico, come l’Amleto Shakespeariano. Il personaggio
ideato dal poeta inglese, omonimo della tragedia di cui è protagonista, è
infatti divenuto un simbolo per quanto riguarda la psicologia dei personaggi
del dramma moderno per le sue continue preoccupazioni, i dubbi che lo assalgono
appena prima di agire. Per questo l’Amleto può essere definita la tragedia
della ‘non-azione’. Amleto, dunque, non essendo capace di agire, diviene un
inetto di fronte alla realtà, l’esatto opposto dell’Oreste di Sofocle, che invece
è piatto nella sua sicurezza e nelle sue azioni. Questa riflessione del Paleari
rimane allora impressa nella mente de protagonista.
Si passa così alla seconda parte, prettamente riflessiva
e, per questo, costituita da un monologo del protagonista.
Mattia, in un certo qual modo, si identifica nella
marionetta che si rende conto di vivere in microcosmo: come la marionetta egli
era un tipo, un protagonista piatto della propria esistenza, prigioniero della
trappola sociale costituita dalla famiglia oppressiva e da un lavoro frustrante,
come Belluca, protagonista della novella ‘Il treno ha fischiato’, sempre
scritta da Pirandello.
Mentre Il ragionier Belluca riesce a fuggire dalla sua
esistenza opprimente solo tramite l’immaginazione è per questo viene ritenuto
da tutti un pazzo, Mattia Pascal riesce ad evadere concretamente dalla propria
quotidianità e, una volta capace di guardare la realtà da un altro punto di
vista, come una marionetta di fronte alla rottura del cielo di carta si rende
conto che la realtà non è oggettiva, bensì è relativa ( se prima la sua vita
stressante rappresentava la realtà, ora la sua realtà è la vita del signor
Adriano Meis). Dunque il protagonista stesso, di fronte a tale scoperta, diviene
un Amleto, cioè un semplice spettatore della vita.
Seppure il testo in questione sia breve, dunque, è molto
importante poiché rappresenta un vero e proprio “cantuccio” del Pirandello, il
quale, attraverso il personaggio del filosofo Anselmo Paleari, fa irruzione
all’interno della narrazione esprimendo liberamente il proprio pensiero sulla
vita.
Egli esprime, come già accennato, il rifiuto della
visione positivista, predominante nel panorama ottocentesco, preferendo la filosofia del relativismo, diffusa
nel corso del XX secolo grazie a filosofi quali Nietzsche e Bergson e a
scienziati quali Einstein e Plank. La suddetta corrente di pensiero, come ben
espresso dal Paleari, afferma la molteplicità dei punti di vista sull’esistenza
e, di conseguenza, la relatività della realtà. Di fronte a questa molteplicità
l’uomo si sdoppia come la marionetta di Oreste e non è in grado di agire. Viene
così ripresa la figura dell’inetto, già presente nell’opera di D’Annunzio con
il personaggio di Andrea Sperelli, protagonista del romanzo il Piacere.
Il fu Mattia Pascal probabilmente deve il suo immenso
successo proprio alle numerose digressioni come “Lo strappo nel cielo di
carta”, le quali spesso prendono il sopravvento sulla narrazione principale (come
avveniva già nel romanzo I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni).
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